“Le ombre bianche” di Dominique Fortier: toccante
“Le ombre bianche” di Dominique Fortier (AlterEgo Edizioni) riprende idealmente da dove si era interrotto “Le città di carta“, raccontando la storia, quasi miracolosa, di come un’opera possa nascere anni dopo la scomparsa della sua autrice.
TRAMA – Come si misura una vita? Può misurarsi in poesie, allo stesso modo in cui si contano le sillabe di un alessandrino? Cosa rimane di noi quando non ci siamo più? Quando Emily Dickinson morì nel 1886, lasciò centinaia di testi scarabocchiati su ritagli di carta. Furono ritrovati con sorpresa dalla sorella Lavinia, che ne affidò la cura a Mabel Loomis Todd, amante del fratello, al fine di pubblicarli. Senza queste due donne e senza il contributo di Susan Gilbert Dickinson, cognata e amica intima di Emily, il mondo non avrebbe mai conosciuto questa formidabile opera fantasma, senza dubbio l’impresa poetica più singolare della storia della letteratura americana.
Emily aveva chiesto a sua sorella Lavinia di bruciare tutte le sue lettere. “Se per paura, stanchezza, pigrizia, calcolo, incomprensione, oppure per amore nei confronti della sorella defunta e per rispetto delle sue ultime volontà, avesse deciso di riservare alle poesie di Emily lo stesso trattamento delle lettere (e che differenza c’è, in fondo, tra le prime e le seconde? Le poesie non sono semplicemente delle lettere di cui non si conosce il destinatario?), nessuno oggi si ricorderebbe più del nome di Emily Dickinson”.
Parte da quel momento lì, “Le ombre bianche” di Dominique Fortier, il momento in cui Lavinia trova le poesie di Emily e non sa come comportarsi. Sono tante, troppe, sono scritte su ogni tipo di supporto, profumano, sono pezzi di una vita che contengono la vita stessa. Sono una magia. Sono un enorme dolore.
Forse è proprio quello il modo per poter vivere cento vite senza per questo mandare tutto in frantumi, forse bisogna viverle in cento testi diversi. Una vita per poesia.
Per Lavinia sono troppo, sono tutto. Prova a condividerlo con Susan, cara amica di Emily, ma il peso è troppo anche per lei. Eppure, sa che quelle poesie non possono rimanere inascoltate. Che quelle parole devono conoscere luoghi al di fuori di quelle mura.
E così inizia un percorso complicato per fare in modo che vengano pubblicate, un cammino che si intreccia alle vite dei personaggi di “Le ombre bianche“, che si muovono attorno a un fantasma e che gravitano intorno a legami deboli oppure saldissimi.
È davvero molto interessante il lavoro che viene fatto per trascrivere le poesie che Emily Dickinson aveva annotato, con la sua calligrafia piccola e stretta, praticamente ovunque. C’è un passaggio alla fine del libro, che mi ha colpita molto. Mabel, mentre prova a trovare una parola da inserire nello spazio vuoto che aveva lasciato una cancellatura, spiega che Emily Dickinson, “partendo dal termine più prevedibile, lo cancella per allontanarsene gradualmente, una parola alla volta, fino a eleggerne una che ha con la prima solo un lontano rapporto di connotazione, come l’eco dell’idea che desidera far nascere non già sulla pagina, ma nella mente del lettore”. A indicare un rapporto con un lettore di cui Emily Dickinson, però, non ha mai soppesato l’esistenza.
Amo molto la scrittura evocativa di Dominique Fortier, la trovo incredibilmente poetica e capace di arrivare al cuore anche con una manciata di semplici frasi. Sono molto belli i momenti in cui l’autrice fa mostra di sé, ci racconta qualcosa di molto personale – che sia legato o meno alla scrittura – e in cui gioca, anche in quelle pagine, con le parole.
“Le ombre bianche” di Dominique Fortier è un libro toccante, che io consiglio di leggere comunque dopo “Le città di carta”, che è un vero e proprio gioiello.
Permettetemi di dire, infine, che la piccola Millicent, con le sue liste, mi ha davvero rubato il cuore.