“Forte e Chiara” di Chiara Francini: non è un libro, ma uno specchio
“Forte e Chiara” di Chiara Francini (Rizzoli) non è un libro, ma uno specchio. Queste pagine, quelle parole, ti costringono a rifletterti e a riflettere. A scrutare con attenzione, non a lanciare l’ennesima occhiata di sfuggita. Chiara Francini ci dice “Questa sono io” e a quel punto non ti rimane che chiederti: “E io, invece? Chi sono?”.
TRAMA – Scrittrice avvezza a formidabili capriole, Chiara Francini si abbandona, questa volta, a una trascinante confessione autobiografica, non professionale ma umana. Il suo è il romanzo di formazione di una ragazza di provincia che, imbevuta di sogni, si lancia nella vita per metterli in atto senza risparmiarsi, bruciandosi talvolta la pelle, con fatica e caparbietà. Ed è anche, nella seconda parte, una riflessione illuminante e profonda, talvolta grave, sulla tirannide del denaro e del potere che governa i comportamenti umani e, in chiusura, sulla condizione di ogni donna: quella di essere sempre dilaniata fra realizzazione personale e desiderio di maternità. Ovvero di essere destinata a una felicità, per definizione, mutilata.«Perché la parte più complessa per una donna è nascere tale. Bello e terrificante.»
La prima cosa è arrivare agli altri e io cerco di scandire, di portare la voce più alta che posso, per dare dignità non solo a quello che sto facendo, ma alla vita tutta: nulla c’è di più bello che comunicare, parlare, che sentirsi insieme, connettersi in modo umano e quindi provare ad aiutarsi.
Succede una cosa quando si leggono le autobiografie. Succede di rapportare ciò che si legge al proprio vissuto, di paragonarlo alle proprie ferite, ai capitoli della propria vita. Ed è un caos a livello emotivo, perché alcune suggestioni sono talmente autentiche e reali che non puoi non riconoscerle, anche quando stai facendo di tutto per evitarle.
Ed è successo anche con il libro di Chiara Francini, forse più del solito. Forse perché c’è una verità che non solo svela, ma quasi costringe il lettore a mettersi a nudo. Quella verità che ti istiga a fare i conti con te stesso, con l’infanzia, con chi eri e con chi sei. O con chi non sei e magari non sarai mai. Nella sua scrittura c’è una dose di lealtà tale che non puoi non ripagarla con la stessa quantità, anche se pesa troppo.
Chiara Francini ci parla di sé in un momento in cui, forse, potrebbe ancora “rimediare a ciò” che è, ma non importa perché evidentemente era il tempo di tirare fuori alcune cose. Per noi, forse prima ancora che per lei. Per noi che ci siamo sentite “da sempre fuori. Fuori luogo, fuori dai denti e fuori misura”. L’autrice ci racconta che va bene così e lo fa senza quella retorica di cui di norma sono pieni i discorsi come questi. Lo fa alla sua maniera, scomposta, agitata, fremente. E ti lascia tremante, scompigliata, dolente. In uno stato in cui proprio non vorresti guardarti allo specchio. Eppure.
“In Chiara e Forte” ci racconta tutto il suo coraggio, ovvero quello di aver chiesto alle persone che ha più vicino cosa pensano di lei, inserendo i loro racconti nel libro. Operazione che, a me per prima, darebbe i brividi. Ma – come se non bastasse – ha preso quelle parole, che la ritraevano in un modo ben preciso, e ci ha raccontato il resto.
E allora specchiarsi diventa provare a guardarsi con gli occhi di qualcun altro, e partire da lì per avviare una narrazione su di sé. Partire dai legami, da ciò che ci unisce, che si fa sentire “meno strani”, provando a scavare senza giudizio.
Non ci sono risposte alle domande che si pone Chiara Francini, e del resto, dove potremmo andarle a scovare? Quella continua ricerca di definizione, che non basterà mai a contenerci fino in fondo, non è ciò che proviamo a fare ogni giorno? Non è ciò che ha tentato anche l’autrice, sin da subito etichettandosi come “Chiara e Forte“?
Perdonatemi se alcune cose di questo libro me le tengo per me. Se alcune parti le ho trascritte sul mio quaderno per averle più vicine quando ne ho bisogno. Se non le condivido perché ancora non le ho accettate del tutto, mentre mi asciugo quelle lacrime che continuano ad avere lo stesso sapore.
C’è un passaggio che mi sono ritrovata a urlare a Renato mentre giravamo per Roma in motorino, identico, parola per parola. Ci sono frasi che mi hanno raccontato il mio dolore, il mio sentire, anche quello che non riesco ancora a digerire. C’è uno sguardo fiero che mi manca, una lucidità che vorrei provare, una sincerità che spiazza.
C’è la vita, quindi c’è tutto. Anche nelle pagine bianche.