“Maud Martha” di Gwendolyn Brooks: un piccolo gioiello
“Maud Martha” di Gwendolyn Brooks (La Tartaruga) è un piccolo gioiello tutto da scoprire. Da assaporare con lentezza o da divorare in una manciata di ore.
TRAMA – “Maud Martha è nata nel 1917. È ancora viva”: si apre così l’unico romanzo scritto dalla celebre poetessa Gwendolyn Brooks, la prima afroamericana a vincere il Premio Pulitzer. Un romanzo dalla struttura originalissima, che in 34 fulminanti capitoli racconta tutta la vita della protagonista attraverso un prisma di informazioni minime, rarefatte, poetiche. Maud Martha Brown è una ragazzina cresciuta nel South Side della Chicago degli anni Quaranta. Tra bettole fatiscenti e cortili incolti, sogna New York, un amore romantico, il futuro. Ammira i denti di leone, impara a bere il caffè, si innamora, arreda il suo angolo cottura, sventra un pollo, risparmia un topo, compra cappelli, cerca di vedersi bella, partorisce una bambina. Anche suo marito, che ha la pelle solo un po’ più chiara, ha dei sogni: il Foxy Cat Club, le donne bianche, il mito della guerra. Ma i sogni di Maud Martha e di quelli come lei vengono, immancabilmente, messi alla prova da “brandelli di odio sgomento”: una certa parola di una commessa, quella visita al cinema, la crudeltà di un Babbo Natale nei grandi magazzini. Una realtà inospitale, dura, né bianca né nera, ma fondamentalmente grigia: una realtà in cui, anche se la rassegnazione è la scelta più ovvia, c’è chi, come Maud Martha, trova ancora il modo di non arrendersi, pur di rendere luminosissimo quel grigio. Malgrado tutto.
La verità era che se riuscivi a fare della tua vita una tragedia, una tragedia come si deve, struggente, ma che non fosse assurda, patetica o il risultato della stupidità umana, ti era andata bene, pensò Maud Martha, sì, ti era andata proprio bene.
“Maud Martha” si compone di 32 brevi capitoli che sono delle diapositive di precisi momenti della vita della protagonista di questa storia. Una donna che non smette di stupire, di sorprendere; una donna capace di rimanere in silenzio quando vorrebbe solo gridare, combattiva e allo stesso tempo in grado di far finta di non sentire.
Si parla di razzismo a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, si racconta come ci si sente a essere gli unici neri al cinema, quali sono le occhiate, quali sono le parole a loro riservate. Ma non c’è mai un piangersi addosso, oppure un giudizio netto. C’è la voglia di accettare la realtà, e di cercare di trarne il meglio.
Straziante è il momento in cui sua figlia Paulette, per la prima volta, si ritrova a dover affrontare una discriminazione. “Sperava che non fosse ancora necessario”, si dice Maud Martha nel momento in cui si chiede se avrebbe dovuto affrontare di petto quel Babbo Natale che ha fatto dubitare sua figlia. E alla fine rimanda a “un’altra volta”, con l’ineluttabile convinzione che succederà di nuovo e che quella presa di coscienza che passa attraverso lo sguardo degli altri è solo rimandata.
Molto interessanti le dinamiche con il marito Paul, che a volte esulano a volte si intrecciano al colore della loro pelle. A tratti sembrano banali problemi di coppia, ma si ha sempre il sospetto che alla base ci sia qualcosa che non si può davvero comprendere fino in fondo. Un sentimento che inacidisce e si irradia fino a rovinare tutto. Dalle aspettative ai sogni, minando il presente in svariati modi.
“Non se la sentiva di dirgli che alla maggior parte delle persone non “succede” mai assolutamente nulla. Che la maggior parte delle persone si limita a vivere giorno per giorno fino alla morte”.
Ma Maud Martha non sembra importare. Lei quel presente se lo vuole godere, specie se c’è il sole e il cielo azzurro. Specie se lì fuori “c’è tutta quella vita”.