“L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” di Giovanni Di Marco: un romanzo coraggioso
Ci vuole audacia per presentarsi ai lettori, per la prima volta, come ha fatto Giovanni Di Marco con il suo romanzo d’esordio, “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” (Baldini+Castoldi). Coraggio ma anche un pizzico di incoscienza perché, adesso che l’asticella è così alta, viene il compito più difficile. Ovvero, scrivere il secondo libro.
TRAMA – Il giorno in cui si celebra il funerale della madre di Tonino, la gente non parla d’altro che dell’attentato a Karol Wojtyla. Siamo in un paesino dell’entroterra siciliano: Tonino è un bambino di sette anni, curioso, intelligente e vitale, con una passione smodata per la Juventus. Ma la confusione e la rabbia che prova quel giorno, scavano nel suo animo, lasciando cicatrici profonde. Tonino pare destinato al ruolo di vittima: non solo in quanto orfano, ma anche perché da lì a breve riceverà le attenzioni morbose di Padre Alfio. In risposta agli abusi, e quasi obbedendo a un impulso autodistruttivo, Tonino rischia di diventare il carnefice di se stesso. Mentre nel mondo di fuori si ragiona di guerra fredda e si festeggia il Mondiale dell’82, dentro di lui tutto sembra andare lentamente in frantumi: le amicizie, la bellezza dell’amore, la possibilità di un futuro, il rapporto con la famiglia. Del bambino che era non rimane che un’eco lontana, che Tonino crescendo faticherà ad ascoltare, perseguitato dal senso di colpa. La sua speranza di salvezza è Tania, la giovane vicina di casa che gli farà da seconda madre, una ragazza con uno spirito indomito e un passato burrascoso, nonché l’unica persona disposta a lottare perché Tonino ottenga giustizia.
Ho trovato davvero coraggiosa la scelta di Giovanni Di Marco e non, come si potrebbe facilmente immaginare, quella di aver deciso di esplorare un tema difficile da trattare. Forse, ma non solo. Perché, in realtà, raccontare la pedofilia è stato per l’autore soltanto la scintilla iniziale.
Il fuoco, quello distruttivo, quello dirompente, è arrivato subito dopo, a distruggere ogni cosa. O magari la miccia era già stata innescata?
Tutto inizia da quel trafiletto sul giornale tanto atteso che non è mai arrivato? Da una pasta coi ceci che ha il sapore della morte? Il male si insinua in mezzo al dolore, oppure assume una forma trovando terreno fertile?
“L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” è la storia di un’attesa, che diventa una pretesa. La storia di un dolore prima subito e poi procurato. A volte, in alcune occasioni, anche auto-inflitto.
È il racconto di un bambino che si fa uomo attraverso bugie, segreti, abusi, morte. Tonino da vittima diventerà carnefice, ma a che prezzo? Lui non fa altro che “assolversi”, ma che sia solo un pensiero e non un reale appiglio?
Giovanni Di Marco è molto bravo nel tracciare i mille volti di Tonino, sempre in bilico tra il bambino che non è stato e l’uomo che non vuole diventare; tra il desiderio di una vendetta immediata, male indirizzata, e il rimorso, esternato a furia di pianti, di corse, di preghiere.
La sua scrittura risulta molto credibile, sebbene i temi siano forti e spesso difficili da maneggiare. C’è il dolore, certo, e la morte. C’è la passione per il calcio, il ritratto di una Sicilia che abbaglia per quanto è sincero, i volti di un paese che osserva senza discrezione, per poi voltarsi dall’altra parte.
E poi, c’è il sesso. Abusato, desiderato, comprato, negato. Fatto per dispetto, per disperazione, per cercare di ottenere qualcosa. Per pareggiare i conti, per iniziare una guerra, per soldi.
Non è facile sintonizzarsi sulle onde emotive di Tonino. Risulta quasi impossibile. Ci sono momenti in cui ci si vorrebbe solo allontanare, anche se il pensiero a lui ritorna spesso.
Mi chiedo cosa è successo, dopo. In quello spazio bianco che l’autore ha lasciato alla fine, che andrebbe riempito con gli indizi che ha disseminato come briciole durante l’arco narrativo.
Tonino è una presenza ingombrante, così tanto che adombra tutti gli altri personaggi. Alcuni dei quali, sarebbe stato bello conoscere di più, ma non era questo il luogo, o magari il momento.
“L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” è un esordio che non sembra tale. Davvero ben scritto, ed emotivamente molto intenso.