“La gazza” di Elizabeth Day: bello ma non indimenticabile
“La gazza” di Elizabeth Day (Neri Pozza) è un romanzo che mi ha convinta a metà. Dopo la trama provo a spiegarvi perché.
TRAMA – La porta grigia, i mattoni del colore delle nocciole tostate, la strada alberata e silenziosa per Londra, il quartiere ben frequentato: una casa perfetta per Marisa, illustratrice di libri per ragazzi, il rimedio a tutto ciò che nella sua vita chiede di essere riparato. Come lo è Jake, naturalmente, confortante come una pietra calda sul palmo della mano. Certo, quando la signora dell’agenzia immobiliare ha aperto la vetrata sul giardino, un uccello è volato dentro. Una gazza bianca e nera, che ha sbattuto contro le pareti prima di sfrecciare fuori, mandando in frantumi un vaso. Per Marisa, però, quell’apparizione improvvisa ha prodotto soltanto una lieve punta di disagio. Nessun segno infausto può offuscare il suo sogno di vivere con Jake e formare con lui una famiglia. Nei mesi successivi trascorsi in quella casa, la vita si svolge perciò, per la giovane illustratrice, come una vera e propria commedia romantica in cui le basta un semplice sguardo di Jake per capire che quell’uomo, così poco espansivo nei gesti e nelle parole, è la persona con cui condividere il resto dei suoi giorni. Finché un mattino arriva Kate, l’inquilina destinata a occupare la stanza di sopra, dato che i soldi non bastano mai. Bruna e disinvolta – l’esatto opposto di Marisa nell’aspetto –, trentaseienne critica cinematografica, Kate fa subito suo lo spazio comune della casa, abbandona le scarpe all’ingresso, si intrufola in ogni angolo, lascia lo spazzolino da denti accanto al loro anziché nel bagno di sopra, rivolge indelicate domande sul loro desiderio di avere un figlio, lancia sguardi insistiti a Jake. La sua invadenza si fa via via insopportabile per Marisa. Jake tenta di rassicurarla, ma nemmeno la notizia della sospirata gravidanza riesce a distogliere Marisa dalla sensazione sgradevole di avere un ospite ingrato in casa. Qualcosa non va in Kate: quella donna coltiva qualche oscuro disegno e non si fermerà finché non l’avrà realizzato.
Parlarvi della trama de “La gazza” è complicato senza spoilerarvi nulla, quindi provo a non addentrarmi troppo, lasciandovi solo il contenuto fornito dalla casa editrice.
Tutto inizialmente fila liscio. Forse anche un po’ troppo. Ho trovato la narrazione di Elizabeth Day gradevole ma a tratti lenta.
Capisco l’attenzione ai dettagli e la apprezzo, ma spesso l’autrice si lascia andare a descrizioni lunghe – specie per quanto riguarda l’abbigliamento, non so bene perché dato che è un elemento davvero poco significativo all’interno della trama – che non sono allentano il ritmo, ma spezzano l’attenzione.
Quando arriva il primo cambio di punto di vista, e quindi si iniziano a delineare più chiaramente i contorni della storia, la narrazione diventa un po’ più intensa, ma nulla che possa comunque avvicinarsi alle palpitazioni. Diciamo che qui si gioca molto sul filo dei meccanismi mentali, ma in passato ho letto romanzi psicologici molto più avvincenti e da batticuore continuo.
“La gazza“, invece, rimane sempre più focalizzato sui temi affrontati, che giocano un ruolo chiave rispetto al ritmo serrato. Anche in questo caso preferisco non dirvi nulla perché il rischio di anticipare qualcosa, anche per sbaglio, è altissimo.
Sul finire entra in gioco un terzo punto di vista, forse l’unica vera sorpresa del romanzo, ma non poi così sbalorditiva. Probabilmente avrei preferito un tipo di conclusione diversa, molto più amara rispetto a quella leggermente stucchevole proposta.
Tutto sommato “La gazza” è un libro piacevole da leggere ma, come scrivo nel titolo di questo post, di certo non è indimenticabile. L’ossessione è un tema sempre molto interessante in letteratura, ma qui secondo me è stata scandagliata poco in profondità. Diciamo che, a mio modesto parere, l’autrice avrebbe potuto osare un po’ di più.