“L’amico” di Tiffany Tavernier: quanto è profondo l’abisso?
“L’amico” di Tiffany Tavernier (Edizioni Clichy) è uno di quei libri di cui è davvero difficile parlare. E non per paura di svelare troppo della trama, ma perché è uno di quei romanzi che si vive così intimamente, da lettore, che provare a mantenere una parvenza di oggettività non è semplice.
TRAMA – È qualcosa di assolutamente impensabile, imprevedibile, inaccettabile. Thierry, il narratore, alle prime luci dell’alba di un sabato qualunque scopre qualcosa che distrugge tutto ciò che è stato fino a quel momento la sua vita. L’abitazione dei suoi vicini Guy e Chantal viene improvvisamente circondata dai reparti speciali della polizia, ma Thierry sulle prime è solo preoccupato per i suoi amici, con cui ha condiviso tanta intimità e tanti bei momenti. Soltanto dopo ventiquattro, interminabili ore, la verità gli piomba addosso trascinando via tutto con sé: il suo vicino Guy, il suo unico amico Guy, è l’assassino delle ragazzine che da anni scompaiono nella regione. Oscillando tra negazione, dolore e collera, quest’uomo taciturno per natura cerca prima di tutto di ritrovare disperatamente un equilibrio, ma non è più possibile perché più niente ha un senso. E mentre la televisione racconta ogni giorno i più macabri particolari di quelle orrende violenze, Thierry si ritrova costretto a guardare tormentosamente indietro, per andare a ricercare nella memoria e nei suoi diari tutti i particolari che avrebbero potuto fargli capire chi era veramente Guy. Inizia così una discesa agli inferi che sembra non avere fine. Sua moglie Élisabeth se ne va perché non riesce più a vivere in quel luogo maledetto – proprio come prima di lei se ne erano andati dalla vita di Thierry suo padre, suo fratello, suo figlio – e lui ha una sola possibilità: uscire dal suo rifugio di silenzio e solitudine per iniziare un viaggio a ritroso sulle tracce di un passato rimosso e occultato da troppo tempo.
C’è stata una cosa che ho pensato sin dalle prime pagine de “L’amico“: ma come ha fatto Tiffany Tavernier a immergersi così totalmente nella vicenda di Thierry? Me lo sono chiesta perché il modo in cui descrive la reazione del suo protagonista, a quella che è una notizia del tutto sconvolgente, di quelle che ribaltano il tuo mondo in un attimo, è così realistica, così vera nella sua cruda arrendevolezza, da arrivare a credere che non sia finzione.
Thierry precipita, in un abisso così profondo da mettere i brividi. Lo sorreggono la rabbia, la collera, il livore. Lo mantiene in piedi il ribrezzo, l’incredulità. Si riempie le giornate di domande, di recriminazioni, incapace di trovare un senso.
Anche perché non esiste.
È un girare a vuoto, occupando uno spazio, la sua casa, che piano piano diventa sempre più significativo all’interno della sua storia. Se per sua moglie restare non è più possibile, per lui andarsene è fuori discussione.
Quel luogo che ha costruito è diventato un rifugio, un posto dove poter ignorare gli altri, in cui rinchiudersi lasciando tutto il mondo fuori.
Thierry mi ha lacerata quando, in un dialogo immaginario con il figlio, a un certo punto dice: “Sono rinchiuso dentro questo amore che ho per voi. E allora? È un male amare così tanto?”.
La scoperta della vera natura di Guy, il suo amico Guy, quello che uccideva e violentava ragazzine, innesta una reazione a catena tra i sentimenti di Thierry, il quale è in qualche modo costretto a fare luce tra i suoi ricordi più cupi e dolorosi, da dove tutto ebbe inizio, per capire davvero cosa sta vivendo nel suo presente.
Ripartire da mancanze, da assenze, da sentimenti di difesa che lui stesso si è creato. Come i muri che ha innalzato nel costruire la sua casa.
Se c’è una cosa che non mi è piaciuta molto è la parte finale del romanzo. O meglio, il modo in cui Thierry arriva alla comprensione definitiva. Fino a lì anche la parte centrale aveva avuto un senso, per me; le ultime pagine, invece, non molto.
“L’amico” però rimane un romanzo davvero molto potente, che scuote e che lascia il segno.