Intervista a Vera Diaz, autrice de “La distrazione della luce”
Vera Diaz è l’autrice di una delle novità di Harmony, “La distrazione della luce“. Un romanzo nel quale si racconta la storia della giovane Aura, una ragazza costretta a trasferirsi da una grande città in un piccolo comune, con un bagaglio carico di dolore, che rischia di trascinarla in un baratro di ansie.
A tenderle una mano è Tobias, che la guiderà tra le montagne dell’Alto Adige, in sella alla sua bicicletta, con l’unica intenzione di farle riempire gli occhi di bellezza, di ricordarle quanto essere vivi vada celebrato ogni giorno.
Ma “La distrazione della luce” è anche tanto altro. È un amore più maturo, che è stato teatro di incomprensioni e di infelicità; è il tentativo di reinventarsi, rimanendo fedeli a se stessi; è la capacità di aprire il proprio cuore anche quando sembra impossibile; è la tendenza naturale, di ognuno di noi, a cercare un posto da chiamare casa. O di trovare quell’unica persona in grado di farci sentire a casa.
L’autrice è stata così gentile da rispondere ad alcune domande che vi riporto qui di seguito!
“Chissà come funziona questa cosa dell’amore” si chiede a un certo punto Aura, che si interroga spesso sull’amore, sulle forme che assume, sul disequilibrio che spesso si porta dietro. Scrivere dell’amore, delle sue sfumature, aiuta a conoscerlo? Ad avvicinarsi, almeno, a un inizio di comprensione?
Sì. Ho sempre pensato che scrivere potesse aiutarmi a mettere in ordine i miei pensieri e le mie emozioni e, nel caso dell’amore, questo vale ancora di più. Mi sono spesso chiesta cosa fosse l’amore e, a oggi, non credo di essere giunta a una risposta conclusiva. Tuttavia, hai ragione quando parli di un ‘inizio di comprensione’: scrivere dell’amore ci aiuta a interrogarci, a capire meglio noi stessi e gli altri.
In “La distrazione della luce” si riflette su un concetto a me molto caro, quello di “casa”. Una parola così piccola, che riesce a racchiudere così tanto. Cos’è che rende un posto “casa”? Possiamo legare il termine “casa” a qualcosa di diverso da un luogo?
Per me, casa è il luogo in cui riusciamo a sentirci al sicuro. Quand’ero più giovane, associavo questo termine a una casa fisica, che di solito corrispondeva al luogo in cui si trovava la mia famiglia, ma col tempo ho capito (e l’ha capito anche Aura nel libro) che casa possono essere anche le persone che ci amano e che noi amiamo, a prescindere dal posto in cui si trovano. Detto ciò, ci saranno però sempre dei posti che per noi custodiscono la magia e il significato della ‘casa’, e per me è la mia città, Bressanone. Le Alpi sono il posto in cui mi sento me stessa al cento per cento, ed è per questo che ho cercato di trasmettere il mio amore per questi luoghi nel mio libro.
“Ci accade sempre qualcosa, quando non siamo pronti”, ragiona la protagonista, la quale si ritrova a dover fare i conti con una paura che paralizza, che ci dà l’impressione di non poter respirare. Gli attacchi di panico, purtroppo, non sembrano più qualcosa di estraneo alla realtà che viviamo, anche se il più delle volte le persone negano o sminuiscono per non mostrarsi deboli agli occhi degli altri. Quanto, invece, secondo te è importante parlarne?
Avendo sofferto io stessa di ansia generalizzata (non panico, per fortuna, ma ci sono andata vicina), penso sia fondamentale parlarne e incoraggiare i lettori a riflettere su questo tema. Crescendo, sono stata circondata da persone che mi dicevano “Non ti preoccupare, respira profondamente e ti passa”, ma l’ansia non si fa sconfiggere così facilmente. È importante che se ne parli perché si possa sconfiggere il tabù che, purtroppo, ancora riguarda ogni tipo di disagio psicologico. Solo così possiamo imparare a uscirne e trovare il coraggio per chiedere aiuto. Ora più che mai, durante una pandemia mondiale, è importante riconoscere l’importanza che ricopre l’argomento della salute mentale.
Aura ha un blog in cui parla della sua passione per i libri e per il tè, ma nel corso della storia sembra lanciare parecchie frecciatine nei confronti di quei “blog fatti con lo stampino”, e di quelli che scrivono solo commenti positivi dopo aver ricevuto copie omaggio dalle case editrici. Cosa pensi del fenomeno bookblogger e di come si sia passati a parlare di libri dai blog a Instagram e TikTok?
Quand’ero più giovane avevo anche io un bookblog e mi divertivo tantissimo a scrivere e a dialogare con i miei lettori. Col tempo, anche a causa dei miei impegni lavorativi, ho un po’ lasciato cadere questa passione. Mi manca il tempo dei blog perché mi sembra fosse un modo più approfondito di parlare di libri, mentre TikTok è forse un po’ troppo “veloce”. La stessa cosa vale per i reel di Instagram. Mi manca il tempo in cui ci si soffermava a scrivere a lungo di libri, e non ci si limitava a una breve caption. Detto ciò, seguo comunque dei bookblogger bravissimi, sia su Instagram che su TikTok, e loro sono in grado di conservare la ‘profondità’ del blog anche in questi nuovi social. Sono convinta che, quando si parla di libri col cuore, qualunque mezzo è perfetto: l’importante è parlarne!