“La treccia della nonna” di Alina Bronsky: un romanzo con cui confrontarsi
“La treccia della nonna” di Alina Bronsky (Keller) è un libro con il quale fare i conti, per chiedersi, immedesimandosi a turno nei vari personaggi: “E io, al suo posto, che avrei fatto?”.
TRAMA – Margarita Ivanovna è un’ex ballerina di discreta fama, una donna testarda e una matriarca tutta d’un pezzo. Con la sua famiglia, composta dal marito Čingiz e dal nipote Max, ha lasciato la madrepatria Russia per trasferirsi in Germania alla ricerca di una vita migliore. Ma al momento la loro casa è una residenza per rifugiati, dove Margo ha dato vita a un personale regime del terrore. Quando non è occupata a inveire contro il sistema scolastico o medico tedesco, contro i dolci locali e gli altri esseri umani con le loro usanze e religioni, cerca di proteggere l’amato nipote dai microbi e dalle influenze del mondo esterno. Con questo gran daffare però è l’ultima ad accorgersi che suo marito si è innamorato di un’altra… Per tutte le famiglie sarebbe l’inizio della fine, ma per Max e i suoi nonni invece è l’inizio di qualcosa di insolito e toccante.
“La treccia delle nonna” è uno di quei romanzi che richiedono impegno da parte del lettore. Non per lo stile o per la trama, ma perché le emozioni non vengono palesate, sono mostrate solo a tratti e spesso di sfuggita.
Le esternazioni arrivano attraverso un gesto, una parola sbagliata (o incredibilmente giusta), una scelta, ed è compito del lettore cogliere i dettagli per mettere insieme i pezzi.
Per provare a entrare in sintonia con dei personaggi de “La treccia delle nonna“, ognuno dei quali vi susciterà sentimenti contrastanti. La nonna, Margarita, risulta il più delle volte odiosa per come si pone nei confronti del povero nipote, Maxuccio, al quale fa credere di essere malato, un idiota, finendo per etichettandolo nei peggiori dei modi.
Ma allo stesso tempo è una donna fragile, piena di insicurezza, incapace di ritagliarsi un ruolo in una società che non comprende, e in una famiglia che le ha tolto l’unico che avrebbe voluto avere.
Il povere Max è perennemente sballottolato in mezzo a convinzioni folli che diventano divieti, moniti, e che si trasformano in incubi. Mi sono chiesta come sia riuscito Max a crescere e a tracciare una propria identità in mezzo a tutte quelle menzogne, che gli hanno solo fornito una visione distorta di sé e del mondo, ma lui stesso, nei capitoli finali, mi ha mostrato incredibile dolcezza, nei suoi gesti di cura e di protezione nei confronti della nonna.
Tanto da spiazzarmi nella sua scelta finale. Inattesa, per me, ma forse inevitabile.
Ne “La treccia delle nonna” ci sono anche un donna, Nina, amante, madre, incapace di far sentire la propria voce. Un uomo, il nonno, che sembra vivere la sua vita fuori dalle pagine del romanzo. Una bambina, Vera, la quale dimostro di avere occhi e orecchie sempre attenti.
“Perché non ti difendi mai? Da nessuno?”, chiede Vera a Max. “Tanto non otterrei nulla”, le risponde. E in solo due battute Alina Bronsky traccia i profili di questi due bambini, irrequieta la prima, sempre pronta a ringhiare, a ferire, a prendere a calci; e calmo, serafico, il secondo, il quale ha capito che probabilmente è solo questione di tempo.
“La treccia delle nonna“, come scrivevo all’inizio, è uno di quei romanzi in cui il lettore è chiamato “a entrare”, a essere parte attivo della narrazione, anche per arrivare a domandarsi come avrebbe agito se si fosse trovato al posto dei vari protagonisti.
Avrei fatto scelte diverse? Non lo so. Avrei sbattuto qualche porta? Direi di sì.
Ma il bello di un romanzo come “La treccia della nonna” è che non finisce. Fotografa un istante e si avrebbe voglia di sapere che succede dopo, come si evolveranno i rapporti, quali saranno le prossime decisioni. E se un libro ci lascia questo senso di “volerne di più”, allora ha fatto centro.