“La stazione” di Jacopo De Michelis: avete paura del buio?
“La stazione” di Jacopo De Michelis (Giunti) è un libro complesso, ma non tanto per la mole, quanto per la quantità di tematiche che affronta nel dipanare la matassa che l’autore che abilmente costruito.
TRAMA – Milano, aprile 2003. Riccardo Mezzanotte, un giovane ispettore dal passato burrascoso, ha appena preso servizio nella Sezione di Polizia ferroviaria della Stazione Centrale. Insofferente a gerarchie e regolamenti e con un’innata propensione a ficcarsi nei guai, comincia a indagare su un caso che non sembra interessare a nessun altro: qualcuno sta disseminando in giro per la stazione dei cadaveri di animali orrendamente mutilati. Intuisce ben presto che c’è sotto più di quanto appaia, ma individuare il responsabile si rivela un’impresa tutt’altro che facile. Laura Cordero ha vent’anni, è bella e ricca, e nasconde un segreto. In lei c’è qualcosa che la rende diversa dagli altri. È abituata a chiamarlo “il dono” ma lo considera piuttosto una maledizione, e sa da sempre di non poterne parlare con anima viva. Ha iniziato da poco a fare volontariato in un centro di assistenza per gli emarginati che frequentano la Centrale, e anche lei è in cerca di qualcuno: due bambini che ha visto più volte aggirarsi nei dintorni la sera, soli e abbandonati. Nel corso delle rispettive ricerche le loro strade si incrociano. Non sanno ancora che i due misteri con cui sono alle prese confluiscono in un mistero più grande, né possono immaginare quanto sia oscuro e pericoloso. Su tutto domina la mole immensa della stazione, possente come una fortezza, solenne come un mausoleo, enigmatica come una piramide egizia. Quanti segreti aleggiano nei suoi sfarzosi saloni, nelle pieghe dolorose della sua Storia, ma soprattutto nei suoi labirintici sotterranei, in gran parte dismessi, dove nemmeno la polizia di norma osa avventurarsi? Per svelarli, Mezzanotte dovrà calarsi nelle viscere buie e maleodoranti della Centrale, mettendo a rischio tutto ciò che ha faticosamente conquistato. Al suo ritorno in superficie, non gli sarà più possibile guardare il mondo con gli stessi occhi e capirà che il peggio deve ancora venire.
Jacopo De Michelis ha impiegato, per sua stessa ammissione, otto anni per scrivere “La stazione“. Il lavoro di documentazione è stato ampio e a più livelli, e nel romanzo si evince quasi a ogni pagina, per la ricchezza dei particolari e per quei dettagli così ricercati che imprimono maggiore nitidezza alla vicenda narrata.
In questi casi, però, il rischio è di mettere troppa carne al fuoco. Non vi nascondo che, specie all’inizio, ho pensato che era un po’ “troppo”, ma Jacopo De Michelis è stato capace di farmi ricredere.
L’autore è stato impeccabile nel dare la giusta collocazione a ogni elemento: ci tengo a sottolineare che non c’è nulla di superfluo o di inserito nella narrazione tanto per riempire un buco. Questo per dirvi che la mole sì, potrebbe spaventare, ma la lettura sarà piacevolmente scorrevole.
Merito non solo della storia che viene raccontata, ma anche dello stile dell’autore e della costruzione dell’impianto narrativo. Ho apprezzato, sparse qua e là, parole poco usate, che spiccano per la loro lucentezza: ci tengo a sottolineare la differenza tra autori che si parlano addosso, e altri che conoscono la meravigliosa ricchezza della nostra lingua, proprio come Jacopo De Michelis, che lo fa capire senza per questo dimenticarsi del lettore.
Ammetto, però, che alcune parti de “La stazione” mi sono piaciute meno: sono quelle che riguardano Laura nella seconda metà del romanzo (mi mantengo vaga per evitare anticipazioni), ma anche loro hanno un ruolo decisivo all’interno della trama e quindi arrivo a comprenderne l’esigenza narrativa.
Trama di cui, posso dirvi poco o nulla, anche perché è talmente ricca e complessa che rischio inavvertitamente di rivelare qualcosa. Altrettanto stratificato è il contesto narrativo, che si estende lungo tutto il romanzo in un gioco di specchi con i livelli della stazione centrale di Milano.
Sono belle e prive di falso moralismo le pagine dedicate a ciò che la stazione non mostra, a ciò che succede lontano dagli sguardi di passeggeri sempre più distratti e, in generale, di un’umanità sempre più isolata ed egoista. Non mancano di crudezza e di atrocità, come è giusto che sia per raccontare ciò che succede in un buio così totale capace di macchiare le pieghe dell’anima.
Non è stato difficile immaginare quali siano state, nel corso degli anni, le letture di Jacopo De Michelis o di rintracciare alcune sue influenze, ma “La stazione” porta con sé molti tratti di originalità, prima fra tutti l’ambientazione, così caratteristica da renderla personaggio del romanzo.
Ma per me, Riccardo Mezzanotte rimane il protagonista indiscusso del romanzo. Mi dispiace, ma è stato capace di rubare la scena a tutti, per quanto mi riguarda. (Anche se Jacopo De Michelis è stato capace di farmi fare il tifo pure per Dan, a un certo punto. Ma questo inciso lo capirete solo leggendo il romanzo!).
Ho trovato molto bello il racconto del suo vissuto, mosso dal rapporto conflittuale con il padre; ho ammirato la sua testardaggine, la sua faccia tosta e la sua noncuranza; mi ha invitata a guardare lì dove nessuno avrebbe gettato lo sguardo, a essere attenta, non solo curiosa; ho avvertito quel vulcano di emozioni che sente Laura, e quella lava calda di rabbia mi è quasi scivolata addosso.
Forse “La stazione” avrebbe potuto essere diviso in due romanzi. Magari le avventure di Riccardo Mezzanotte avrebbero potuto trovare più di un’unica collocazione, non lo so. So che mi dispiacerebbe dire addio a un personaggio così. Perché sono certa che, come il suo autore, avrebbe ancora molto da raccontarci.
Forse abbiamo letto libri diversi, perché io questo l’ho trovato veramente brutto.
Può capitare di non trovarsi d’accordo su un’opinione di lettura. Onestamente di libri veramente brutti ne ho letti tanti, e questo – per il mio modestissimo parere – non lo è stato!
Ciao, buongiorno. Ero curioso di leggere una recensione, di un lettore, positiva.
Perché sì, il libro è bello, ma ha almeno 400 pagine di troppo. Poteva virare sull’horror (col popolo “nascosto” della stazione e i suoi fantasmi… ), restare un giallo con le vicende poliziesche di Mezzanotte, o entrare addirittura nel sociale (la tratta della prostituzione, i senzatetto, la corruzione). Invece no. Troppa carne al fuoco, addirittura l’olocausto; e alla fine, a mio parere, l’autore commette anche l’errore di ricondurre le varie trame in una sola francamente ai limiti dell’assurdo, vedasi che combina Dan…
Sono stato lungo anch’io, perdonami!
La stazione è altalenante! Passa da parti estremamente interessanti ad altre molto meno. Per gusti meramente personali alcune scene non mi sono piaciute…
Per arrivare al cuore del libro ci vuole un po’, la seconda parte inizia con il botto, ma poi si dilunga davvero tanto. La terza parte è forse quella più interessante. Decisamente tanti gli argomenti toccati, con una forzatura del filo conduttore. Le avventure di Riccardo sono le più interessanti, probabilmente con una scrematura e la metà delle pagine, sarebbe stato davvero un bel libro.
Fantasia, preparazione accurata, impianto narrativo scrupoloso, questa opera prima è veramente buona a mio parere. La descrizione di Cardo è da autore consumato anche se un occhiolino a Schiavone non lo disdegna. Grandissima la stazione, lei, la storia, i segreti, gli orrori umani presenti e passati. La sensitiva non mi dà alcun fastidio, anzi, è coinvolgente. Altre parti a me non piacciono, non mi piace la descrizione del passato del protagonista e del rapporto con il padre, banale e orrida la storia di Sonia, per me davvero inutile. Grande il Generale, penoso il Fantasma, l’ha tirato troppo mescolandolo assurdamente con un’altra storia parallela, non voglio spoilerare! Troooppooo lunga e a tratti insostenibile la storia del sotto anche se alcuni tratti horror sono davvero mirabili. Anche per me qualche sfoltita di un paio di centinaio di pagine e qualche virata meno orripilante ci sarebbero state bene. Ho una preoccupazione. Cosa ci racconterà nel prossimo romanzo? Rivoglio Mezzanotte ma la stazione deve rimanere un unicum perché è meravigliosa così.
Non sono un critico letterario ma solo un accanito lettore di libri di narrativa dei svariati autori contemporanei più o meno famosi…ebbene ho trovato questo di De Michelis un dei più bei libri che abbia mai avuto la fortuna di leggere. Non dico che “La Stazione” possa considerarsi un libro da leggere tutto d’un fiato perché sarebbe veramente impossibile
viste le 800 e rotte pagine, ma affermare che una sola di queste sia stata scritta tanto per fare numero sarebbe veramente una falsità e una scorrettezza gratuita verso l’autore. È talmente pieno di situazioni e di personaggi (alcuni assolutamente grandiosi vedasi Cardo o il Generale…) che l’autore avrebbe potuto sfruttarli per popolare la trama di 4 o 5 romanzi. Nella speranza e in attesa di leggere il nuovo libro i più sinceri ringraziamenti a Jacopo.
Mmm un po’ molto somigliante al mio “noi siamo il buio” di damster edizioni, ambientato nei sotterranei di Napoli, a mio modo di vedere più realistico e più incentrato sul problema dei reietti della società e della rabbia che cova sottopelle. Espressioni come figli dell’ombra ed altre mi fanno pensare, considerato che de Michelis è editor di casa editrice cui avevo mandato il mio romanzo….
Il tuo “Noi siamo il buio” è una forte denuncia sociale, un libro che ti colpisce. “La Stazione” mi suona tanto come contemplazione dell’ombelico tutta tecnica e niente anima
Il libro di Jacopo De Michelis è un pasticciaccio senza capo nè coda, una disarmonia prestabilita che non inebria il lettore.
Ho scoperto che le recensioni negative sono fin troppo indulgenti. Sono andata a leggermi le pagine di estratto dagli store e sono rimasta basita.
Il protagonista è un Ispettore di Polizia che in 5 pagine riesce davvero a mettersi addosso tutti gli stereotipi rintracciabili nei personaggi dei telefilm americani. Si parte con la descrizione di un’azione di controllo nei confronti di una tifoseria violenta in trasferta. Francamente, sembra scritta da un ragazzino. Descrizioni lente, fastidiosissime, piene di dettagli inutili e noiosi. Tre pagine per descrivere come viene rocambolescamente disarmata una coppia di ultras su un vagone ferroviario (sarebbero bastate sei righe, a largheggiare). La dinamica è improbabile, l’effetto è quello del giustiziere di mezzanotte (forse non un caso).
Per non lasciarsi mancare nulla, cogliamo numerosi errori di lingua, alcuni clamorosi:
“Torna pure a fare il tuo lavoro, *******, che il mio lo so fare…” , senza accento sul che!? C’è differenza tra pronome e congiunzione? O no?
“Chiamò quattro uomini e gli fece cenno di seguirlo”, “gli”? Ma non erano 4?
Tra l’altro, il “gli” al posto di “loro” è ripetuto più volte, dunque è una sfraghìs dell’”autore”.
Più non ho letto. Non mi reggeva ‘l core!