“Cantico dell’abisso” di Ariase Barretta: crudo e amaro
“Cantico dell’abisso” di Ariase Barretta (Arkadia) è un libro crudo, amaro, vivido, doloroso.
TRAMA – È la vicenda di un tredicenne che vive a Bologna e che ama visceralmente suo padre, Osvaldo, in modo morboso, incapace di stabilire un limite o un oltre che non deve essere travalicato. Davide affronta la sua acerba consapevolezza in modo aperto, in un viaggio che lo porterà all’emancipazione e a categoriche scelte di vita, non ultima quella di convivere serenamente con la propria omosessualità e con la decisione di diventare transgender.
L’unico modo per sopportare quel dolore era agguantarlo con forza e trascinarlo con me nell’abisso. Lì l’avrei abbandonato per sempre. Prima però dovevo abbandonare me stesso.
Un ricordo asciutto, un torrente in piena. Questo è “Cantico dell’abisso“, una luce puntata su anni di accettazione e cambiamento condensati in immagini significative, e rappresentati attraverso figure chiave nella vita del protagonista.
Figure che diventano sdoppiamento, persone con le quale identificare il male, l’abuso, il sopruso, mantenendo sempre uno sguardo chiaro e sorprendentemente pieno di equilibrio. In questo l’autore è stato quasi chirurgico nel calibrare le emozioni che avrebbero potuto sfociare nel racconto fino a trascinarlo via, rendendolo illegibile.
Forse quell’equilibrio arriva da Davide stesso, che ripercorre la sua storia a ritroso, adesso che ha messo ogni tassello al posto giusto. Adesso che ha potuto persino perdonare.
Si procede per accenni e un lettore vorace (presente!) potrebbe volerne di più, per poi rendersi conto che non servono pagine e pagine, ma che è già tutti lì, dentro quei frammenti.
Si procede per strattoni, perché un racconto come “Cantico dell’abisso” non può lasciare indifferenti.
Piene di luce sono le ultimissime pagine del libro, che dicono ad alta voce quanto sia fondamentale poter “continuare a scegliere”. Sempre, ogni giorno.
E sorridere, anche a chi non ci ha mai amato.