“Il nostro meglio” di Alessio Forgione: dritto al cuore
Alessio Forgione è tornato in libreria con “Il nostro meglio” (La Nave di Teseo) e ancora una volta colpisce dritto al cuore.
TRAMA – Amoresano è cresciuto a Bagnoli con i nonni, una famiglia semplice con una vita fatta di piccoli gesti, bestemmie senza cattiveria e una saggezza popolare che tocca il cuore delle cose. Ora Amoresano vive con i genitori a Soccavo, va all’università. Osserva tutti e parla poco, la storia con la fidanzata non va, il suo rifugio è la lettura, le frasi che annota sono la sua ribellione silenziosa. Suona la chitarra e, a volte, sogna quasi di fare un disco con l’amico Angelo, che freme per fuggire a Londra. Nel mondo di Amoresano, sui treni che prende girando attorno a Napoli e ai suoi desideri, il pensiero torna sempre a quella nonna che l’ha cresciuto e che gli pare più avanti di tutti, che preferisce i murales ai muri abbandonati, che sa scegliere il momento migliore per arrabbiarsi, che insegna a voler bene alle persone giuste. Come cambia la nostra vita quando dobbiamo fare a meno di ciò a cui teniamo di più? Amoresano rincorre la sua risposta nei passi fino alla tabaccheria di Maria Rosaria, nella traiettoria di quello sguardo diverso eppure uguale, dentro le notti di un’estate calda e possibile, a scambiarsi libri e film come domande, millimetri di pelle come tentativi. Una ricerca confusa e inquieta che rimbalza sul terrazzo di Anna, in un’isola fuori stagione, a bordo di motorini lanciati nei viali della città a improvvisare fughe, a scrivere ritirate. Nuotando nella memoria, il suo bene più urgente, osando e rifiutando bellezza, che pure non basta quando pensiamo di non meritarla, inseguendo un dolore inevitabile per vedere fin dove ne arrivano le diramazioni, Amoresano scopre il prezzo rovente dell’amore che abbiamo ricevuto e di quello che non sappiamo dare.
Alla fine non saprà mai che mi laureerò, così come per il resto delle cose, e non saprà più nulla di noi e che senso ha farle, le cose, a questo punto, e provare ad andare avanti.
Ne “Il nostro meglio” Alessio Forgione ci racconta il suo protagonista, Amoresano, in due momenti della sua vita: da bambino e da universitario, quando deve affrontare la malattia della nonna.
La sua voce, con il suo ritmo incalzante, quasi “a elenco” quando c’è da descrivere una scena o una situazione, rimane inalterata, anche se ci sono sottili differenze di timbro stilistico che danno l’idea della distanza, senza dimenticare l’appartenenza.
Così come nel tempo rimane uguale l’amore per quella nonna con la quale, dopo la scuola, chiudeva un po’ gli occhi a letto, magari dopo aver sentito l’ennesima storia, o la ripetizione di una già ascoltata. Lei è l’unica con la quale questo ragazzo sembra riuscire a parlare per davvero.
Con gli altri, avverte continua un’incapacità comunicativa che torna spesso durante il romanzo. “Vorrei essere invisibile, vorrei essere forte, vorrei sapermi spiegare”, dice. E ancora: “Non so più esprimermi”, capisce, facendo i conti con quel tipo di sofferenza che ti trasforma, che non ti rende capace di “spiegarti”.
Ne “Il nostro meglio“, Amoresano condivide il dolore con la sua famiglia, con quella madre che prova “ad afferrare e tenere tutti i fili e i tasselli della nostra vita assieme, così come sono sempre stati, per conservarla e spingerla in un futuro che continui a somigliarci”; con gli amici, in modo particolare con Angelo, così irrequieto e smanioso, e con due personaggi femminili, Maria Rosaria e Anna, con le quali per qualche istante tira a indovinare cosa sia l’amore.
Ma soprattutto fa i conti con quello che sarà “il dopo”. Con quella assenza che diventerà mancanza. Con il cambiamento che comporta la perdita. Arrivando a dire che ci vuole un addestramento al mondo “che verrà di cui lei non sarà parte”.
Quando provi dolore, tendi a leggerlo per davvero anche negli altri. A scorgerlo in una postura, in uno scatto d’ira, in un gesto ripetuto. “Quelle persone non possono niente, solo il dolore comanda”, dice Amoresano, iniziando a comprendere quanto la vita scivoli via, quando a prendere le redini è qualcosa che sfugge al nostro controllo.
C’è una semplicità nei gesti e nei pensieri di Amoresano che rende il personaggio vivido, reale. Ne “Il nostro meglio” non c’è mai una parola in più – questo per carattere – né una scena surreale, a meno che non serva a dare l’idea dell’ambiente. Come direbbe Angelo, “è Napoli, frate'”.
“Il nostro meglio” diventa presto una riflessione sul tempo che attraversiamo e su che persone ci fa diventare. Forse per questo, quel Natale, Amoresano sente l’esigenza di fare una foto a sua nonna. “Vorrei che lo capisse che tutto quello che accade a noi, che stiamo vicini a lei, è diventato un’urgenza”.
Alessio Forgione gioca con il tempo, con la vita, regalandoci un altro romanzo intenso e pieno di emozioni. Sappiamo che la lettura è un “fatto molto personale”, e come tale io ho vissuto la storia di Amoresano pensando alla mia. Piangendo ricordando mia nonna, che sembrava sovrapporsi a quella del libro in alcune scene. È stato doloroso, ancora, dopo anni, ma di quel dolore che fa spuntare un accenno di sorriso tra le lacrime.
“Il nostro meglio” è un libro vero, come solo le emozioni autentiche sanno essere.