“Un bel quartiere” di Therese Anne Fowler: intenso, crudo e commovente
“Un bel quartiere” di Therese Anne Fowler (Neri Pozza) è un romanzo molto bello. Intenso nel raccontare la verità, una verità così brutale e inaccettabile.
TRAMA – Ampie strade, case di mattoni in stile ranch e giardini rigogliosi… Oak Knoll è un quartiere molto ambito nel bel mezzo di un’amabile città della Carolina del Nord. A Oak Knoll vivono Valerie Alston-Holt, professoressa di silvicoltura, e il suo talentuoso figlio Xavier, che in autunno partirà per il San Francisco Conservatory of Music. Esperta botanica, Valerie ama, del suo quartiere, soprattutto la maestosa vegetazione: cornioli bianchi e rosa, castagni, peri, viburni, camelie, ciliegi, cachi, cespugli di biancospino e agrifoglio. E, soprattutto, la grande quercia che svetta nel suo giardino. Qualche mese prima, però, è accaduto l’irreparabile: un’impresa di costruzioni ha abbattuto tutti gli alberi che ombreggiavano la casa accanto alla loro, demolita senza tante storie e portata via come i resti di una tempesta o di un terremoto. Ora al suo posto c’è un edificio grande e luminoso, con il suo spoglio ma costoso giardino, un’enorme piscina e, soprattutto, i nuovi vicini. I Whitman sono l’esatto opposto degli Alston-Holt: bianchi, benestanti, popolari. Brad Whitman, della Climatizzatori Whitman, è un giuggiolone pieno di soldi; sua moglie, Julia, coda di cavallo alta e un aderentissimo top da fitness, sembra uscita dalle pagine di un catalogo sportivo. E poi ci sono le figlie: la piccola, spumeggiante Lily, e Juniper, con i suoi segreti ben celati di adolescente. Con poco in comune, a parte un confine di proprietà, le due famiglie sono inevitabilmente destinate a scontrarsi, soprattutto quando Brad Whitman, incurante di ogni regola di buon vicinato, lascia che i lavori di ristrutturazione della casa intacchino le radici della quercia tanto amata da Valerie. Tra gli Aston-Holt e i Whitman scoppia, feroce, la guerra. Una guerra che cela in sé il seme dell’odio razzista e che rischia di sfociare nel più drammatico degli esiti. Una guerra che non si arresta nemmeno quando tra Xavier e Juniper sboccia l’amore.
Curiosamente, “Un bel quartiere” inizia con i Ringraziamenti. Una vera gioia per me, che sono sempre la prima cosa che leggo in un libro. L’autrice confessa i motivi che l’hanno spinta a scrivere questa storia e l’approccio che ha avuto.
Può una scrittrice bianca adottare il punto di vista di due personaggi afroamericani? Sì, può. Per farlo, “deve semplicemente studiare”. Posso dire che nella mia vita da lettrice ho letto alcuni risultati di chi evidentemente non lo aveva fatto, ma posso anche affermare con certezza che Therese Anne Fowler abbia approfondito tanti temi importanti prima di iniziare il processo di scrittura, e che l’abbia fatto tenendoci davvero molto.
Qual è l’auspicio? “Spero che questa storia solleciti i lettori a riflettere su quant’è facile, per le persone buone, fare scelte sbagliate, non per cattiveria, ma per abitudine o per adeguarsi alle convenzioni, per disattenzione o paura. Ed è una storia che ci ricorda che il male è al lavoro e noi dobbiamo diventare il baluardo da opporgli per impedirgli di vincere”.
Inizio così perché Therese Anne Fowler è presente davvero in tutto il romanzo. Il suo intento è quello di farci comprendere appieno le sue parole, di metterci in mano una verità, cruda, spietata, ma alla quale non possiamo, non dobbiamo, voltare le spalle.
Grazie al Book Club virtuale organizzato da Neri Pozza abbiamo avuto la possibilità di conoscere l’autrice e di rivolgerle alcune domande. Lei è stata molto generosa e disponibile, e ci ha dimostrato quanto tenga davvero che passi il messaggio che reca in sé questo romanzo straordinario.
Parlarvi della trama senza spoilerare nulla è complicato. Posso dirvi che in “Un bel quartiere” si alterna un punto di vista corale, un “noi” che rispecchia l’intero vicinato, e una narratore onniscente che racconta la restante parte della vicenda.
Un coro che, a differenza di quello delle tragedia greca, non esprime un solo punto di vista ma molteplici. Spesso si è in disaccordo, ma su una cosa hanno parare unanime: nessuno si aspettava quella fine.
Nella prima pagina del romanzo si fa cenno a un funerale, ma ovviamente non si anticipa di chi. Questo svelamento fa sì che il lettore legga il romanzo in un continuo stato di allerta, facendo congetture, inanellando supposizioni.
L’autrice ci ha raccontato che è la tragedia che spinge a farsi domande, è l’unica cosa che riesca a scuotere le coscienze e se per un momento pensiate a terribili fatti di cronaca capirete bene a cosa si riferiva. Però io, ve lo confesso, anche se sapevo, anche se ero stata messa in guardia, ho sperato in un finale diverso.
Forse per questo dalla seconda parte in poi ho fatto fatica a leggere quelle pagine perché è troppo difficile accettare che esistano ancora discriminazioni di questo tipo. È troppo sfibrante leggere come un ragazzo o una donna di colore possono essere trattati. Dai poliziotti, dai vicini di casa, dai colleghi, dagli avvocati.
Xavier, uno dei personaggi di “Un bel quartiere” è birazziale. Ma “se non sei del tutto bianco, allora sei nero in tutto e per tutto”. Brad Whitman nella sua azienda di climatizzatori ha solo tecnici bianchi perché la maggior parte dei suoi concittadini del Sud non avrebbe “nemmeno aperto la porta a un uomo di colore, soprattutto a un nero, sia pure elegante e curato”.
Quando Valerie si trasferisce dal Michigan, “la sua mente razionale le diceva che al Sud c’erano molti bianchi che non sventolavano la bandiera confederata e che in realtà si vergognavano di quel passato. Ma irrazionalmente si aspettava che ogni bianco di quelle parti avrebbe cercato di sminuirla ogni volta che se ne fosse presentata l’opportunità”.
“Quando si tratta di comprendere come e perché i nostri simili di comportino in un certo modo, il contesto diventa importante”. Vero, così come la cultura di appartenenza, la famiglia, le condizioni in cui si è cresciuti. Ma davvero questo basta per spiegare certe storture a cui continuiamo ad assistere?
“Un bel quartiere” parla di razzismo, ma non solo. Ci sono anche altri temi controversi che vengono affrontati nella narrazione ma di cui non voglio fare cenno perché influiscono molto nello svolgersi dei fatti. Chi avrà voglia di leggere questo romanzo capirà di che parlo.
“Questa storia non è un poliziesco. Non è un thriller legale. È un racconto morale? Noi pensiamo di sì, ma vorremmo che non lo fosse”.
Io vorrei che di questi romanzi, un giorno, non ce ne fosse più bisogno. Oggi, invece, continuano a essere necessari.