“Il giorno del sacrificio” di Gigi Paoli: voglio il prossimo!
Dopo “Il rumore della pioggia”, “Il respiro delle anime” e “La fragilità degli angeli“, Gigi Paoli torna (finalmente!) in libreria con “Il giorno del sacrificio” (Giunti).
TRAMA – È un lunedì mattina di fine settembre a Firenze, ma il cielo meravigliosamente azzurro fa pensare a una giornata d’estate e niente lascia presagire l’incubo in cui la città sarà risucchiata di lì a poche ore. A bordo della sua auto il reporter Carlo Alberto Marchi si sta dirigendo a caccia di notizie verso Gotham City, il futuristico Palazzo di Giustizia, quando una telefonata allarmante del capocronista gli intima di correre subito al polo universitario lì vicino: è successo qualcosa di molto grave, qualcosa di cui ancora si sa ben poco. Un muro di poliziotti e ambulanze impedisce il passaggio a studenti e curiosi, e le voci si susseguono: «Pare che sia morto qualcuno», «Ho sentito delle urla», «Qualcuno è entrato armato». Quando Marchi riesce finalmente a farsi strada, non è preparato a quello che sta per vedere: sangue dappertutto, una decina di studenti a terra, alcuni corpi coperti pietosamente da lenzuola bianche. Un attentato? Le prime testimonianze confermano i dubbi più spaventosi: tra quei cadaveri si trova anche l’autore della carneficina, che dopo aver sparato all’impazzata si è ucciso urlando “Allah Akbar”. Firenze si risveglia nel terrore, il panico si scatena in città, soprattutto quando le televisioni di tutto il mondo trasmettono un videomessaggio ricevuto da fonte anonima. Sullo sfondo della cupola del Duomo divorata dalle fiamme, una voce annuncia: «Crociati della città di Firenze, siamo qui. Il Giorno del Sacrificio sta finalmente arrivando anche per voi». È evidente che ci sarà un nuovo, terribile attentato. Ma dove? Rimangono solo cinque giorni per scoprirlo e stavolta Marchi, alla ricerca di risposte tra misteriosi interpreti arabi, ingegneri nucleari uccisi, Imam e rabbini pacifisti, si troverà a mettere a rischio la sua stessa vita…
“Che dice?”, chiese l’Artista sempre sprofondato nel suo cellulare.
“Che dobbiamo muovere il culo, correre”.
“Mai che un giornalista dia una buona notizia”.
Deve correre Carlo Alberto Marchi in questo nuovo romanzo di Gigi Paoli che lo vede come protagonista. Deve correre da un punto a un altro della città, deve correre dalla sua solitudine, deve correre lontano dal direttore del giornale per cui lavora perché se arriva a mettergli le mani addosso sono guai (per il direttore, ovviamente), e deve correre via e da sua figlia Donata, perché insieme dovranno affrontare un argomento molto delicato.
Ma io correvo, correvo sempre per tutti. Correvo per superare le mie inadeguatezze, le mie insicurezze. E poi correvo per Donata, per il giornale, per Olga e, in fondo in fondo, se avevo ancora forza, correvo anche per me. Ma per quanto corressi, un traguardo non arrivava mai, anzi.
C’era sempre un altro giro da fare.
È esattamente questo il filo rosso de “Il giorno del sacrificio“. Una corsa contro il tempo in un’indagine serratissima, mai come adesso, che viaggia parallela alle corse del nostro cronista. Un po’ come era stata la pioggia ne “Il rumore della pioggia” e il caldo ne “Il respiro delle anime“, anche qui c’è una costante che (s)corre lungo l’intero arco narrativo.
Nelle recensioni precedenti ho avuto modo di dire quanto avessi apprezzato la scrittura di Gigi Paoli e mi dispiace se sarò ripetitiva, ma questo autore scrive romanzi sempre più avvicenti e appassionanti!
Per prima cosa, amo molto il modo in cui tratteggia il lavoro del giornalista, senza fare sconti alla sua (nostra!) categoria, ma raccontandolo sempre con verità, con precisione, con lucidità.
Abbasso la testa. Aveva ragione. Vivevamo in una realtà osservata attraverso la lente deformata del nostro lavoro. Quello che per tutto il mondo era orribile, per noi era una bella storia. Non era normale. Ma era così. Noi eravamo così.
E ancora: “Eravamo una razza in via d’estinzione, ma non per colpa di internet come molti dicevano. Eravamo una razza in via d’estinzione per la nostra arroganza, per la nostra superficialità, per la nostra presunzione di avere la cura per il male che affligeva l’editoria. Quando il male, invece, eravamo noi stessi”.
Un’altra cosa che apprezzo sempre è la cura dei dettagli: l’indagine de “Il giorno del sacrificio” prevede attenzione a molti particolari, così come chiarezza su determinati temi che continuano a essere fin troppo delicati per rischiare di cadere in errore.
Oltre questo, il colonnello Domenico Piazza, detto Sunday, e il capo della Squadra mobile Luca Settesanti sono a dir poco fenomenali insieme. Ho già scritto che mi piace che Marchi non faccia l’eroe e che siano le forze dell’ordine a fare il proprio lavoro. Gigi Paoli tiene sempre i due mondi ben separati, ognuno con i propri compiti, e di certo non è facile fare in modo che il lettore non perda nulla in questi cambi di prospettiva. Ma l’autore ormai ci ha abituati sin troppo bene, non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Si starà con il fiato sospeso e molte cose vi lasceranno a bocca aperta. Da un certo punto in poi (precisamente da pagina 310) non potrete più posare il libro. No, non ce la farete, inutile pure provarci.
Nei romanzi di Gigi Paoli, la vita di Carlo Alberto Marchi si intreccia a filo doppio alla narrazione. Non se la sta passando troppo bene, e manco l’Artista è d’aiuto con le sue battute: “Marchi, in questo periodo sei come il fratello sfigato di re Mida: tutto quelli che tocchi, diventa merda”.
Ecco.
Il rapporto con la figlia Donata, invece? “Abbracciare un cactus era più gratificante, ne sono certo”.
Molto bene.
Vogliamo parlare dell’amore? No. Del lavoro? Un altro no. Di come certe volte sia meglio fare le scale invece di prendere l’ascensore? No, meglio di no.
DEL FINALE? ASSOLUTAMENTE NO! Perché qui non sono ammesse parolacce.
“Il giorno del sacrificio” è un romanzo a tutto tondo, non solo un giallo. Ci sarà da capire, da esplorare, andando in giro per Firenze, da arrabbiarsi, da sorridere. E, ancora una volta, empatizzare con Carlo Alberto Marchi, e tutti gli altri personaggi che gli ruotano attorno sarà facilissimo. È stato come ritrovare vecchi amici.
L’unica cosa che mi è dispiaciuta è stata non trovare una nota dell’autore o dei ringraziamenti. Qualcosa che mi aprisse uno spiraglio sul dietro le quinte di un romanzo del genere. Sarebbe stato bello condividere con i lettori un pezzetto di strada fatta durante la stesura del libro, che non sarà stata semplice.
Vabbè, vedremo con il prossimo…