“L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel: straordinario e doloroso
Probabilmente solo chi ha letto “L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel (Edizioni Atlantide) capirà per davvero la sofferenza e il dolore che ho provato a fine lettura. Un pianto che non riusciva a fermarsi perché si allargava a ripensare a ogni situazione, a ogni personaggio, a tutta quella oscurità. Un libro che deve essere letto.
TRAMA – Ci sono estati che ti entrano sotto la pelle come ricordi eterni. Per il giovane Fielding Bliss quell’estate è il 1984, l’estate che cambierà per sempre la sua esistenza e quella di tutti gli abitanti di Breathed, Ohio. Qui, in una giornata dal caldo torrido, il diavolo arriva rispondendo all’invito pubblicato sul giornale locale da Autopsy Bliss, integerrimo avvocato convinto di saper distinguere il bene dal male, e padre di Fielding. Nessuno in paese si sarebbe mai aspettato che Satana avrebbe risposto. E tantomeno che si sarebbe palesato come un tredicenne dalla pelle nera e dalle iridi verdi come foglie, eppure quel ragazzo uscito dal nulla sostiene davvero di essere il diavolo. A incontrarlo per primo è Fielding, che lo porta con sé a casa. I suoi genitori subito pensano che il giovane, che sceglierà di farsi chiamare Sal, sia scappato dalla propria famiglia, eppure le ricerche non portano a nulla, e in lui sembra esserci veramente qualcosa di impenetrabile e misterioso. Qualcosa che gli abitanti di Breathed non capiscono e li farà persuadere che quel ragazzo dalle lunghe cicatrici sulle spalle sia realmente quello che dice di essere: il diavolo. Intanto, un’afa incredibile scioglie i gelati e i pensieri e confonde i rapporti e le certezze, il senso del bene e del male, dell’amore e della sofferenza, della fiducia reciproca e della paura. Lirico, struggente, sorprendente e davvero unico nel panorama contemporaneo, L’estate che sciolse ogni cosa è un romanzo di una bellezza folgorante che segna l’esordio di una nuova, grande voce letteraria.
Scusatemi sin da ora se non sarò capace, in questo post, di raccontarvi le emozioni che mi ha suscitato la lettura de “L’estate che sciolse ogni cosa“, ma quel dolore di cui accennavo è così totale e difficile da digerire che ogni parola, lontana dalla percezione sulla propria pelle, potrebbe risultare vuota.
Provo quindi a parlarvi del romanzo. Una delle prime cose che mi ha colpito, davvero sin dall’inizio, è stata la scrittura di Tiffany McDaniel e il suo modo di raccontare un gesto, uno sguardo, un sentire, un alito di vento, quel caldo terribile che ha colpito Breathed nell’estate del 1984.
Ogni parola è pesata, misurata, mi verrebbe da dire quasi “scandita”, nel rendere al lettore la percezione vivida di quello che è successo allora, e di cosa sta succedendo nel presente.
Una narrazione così precisa che aggiunge una nuova dimensione al testo, lo rende tangibile, incurante di vuoti abbellimenti ma ricco di frasi portatrici di un senso così profondo che spesso bisogna ritornarci e rileggerle. Sottolineare, masticare, digerire.
Quando in città arriva il diavolo, nei panni di un ragazzino dalla pelle scura che ama guardare gli uccelli in volo, con lui giunge un caldo che annienta ogni cosa. Ogni pensiero, ogni senso, ogni capacità di giudizio.
Quell’estate eravamo tutti malati, tutti ugualmente a rischio. Quel caldo faceva galoppare il cuore, montare ogni febbre, ribollire quanto non eravamo capaci di lasciar andare. Fu un perfetto estrattore di dolore e frustrazione, di rabbia e di sofferenza. Portava tutto in superficie, come sudore che affiora sulla pelle.
Ma chi è Sal? Perché è convinto di essere il diavolo? È davvero lui il colpevole che la gente vuole additare a ogni costo?
Quello che succederà sarà devastante, impensabile a tratti, sconcertante, disarmante. Non solo per Fielding, che racconta la sua storia mangiato dai rimpianti e che trascina il suo dolore su scarpe non sue, ma anche per il lettore.
Fielding ci avverte, alcune cose ce le dice sin da subito, cerca di prepararci per quando sarà il momento, ma si arriva comunque impreparati. Così come scoprire ancora altri orrori nelle ultime pagine.
In “L’estate che sciolse ogni cosa” c’è un capitolo, il 19, che racchiude pagine così belle e delicate che per poco non mi hanno fatto dimenticare tutto quello che avevo letto prima. Un lungo momento che rimarrà scolpito nel mio cuore per sempre. Come tanti altri lungo tutto la narrazione, specie gli istanti tra Fielding e Grand.
Della trama non dirà nulla, ovviamente. Così come non voglio parlarvi di un personaggio in particolare perché ognuno ha un ruolo così preciso e importante che rischio di svelare troppo.
Su una cosa, però, voglio soffermarmi. Tiffany McDaniel in tutto il romanzo sottolinea l’importanza dello sguardo, del guardare. “Voglio vedere con i miei occhi”, dice Fielding a suo padre, e la stessa frase la ripeterà proprio il padre, alla fine del libro.
“Distolsi lo sguardo perché a volte si vede troppo per due soli occhi”, dice Fielding in un altro passaggio quando è costretto a guardare da un’altra parte per individuare un colpevole, “in alto, al cielo, e a Dio che avrebbe dovuto fare qualcosa”.
Alvernine non vede i segni sulla pelle di Dresden; Elohim racconterà che i suoi genitori non lo guardavano mai; “Avevo visto chi era”, dice ancora Fielding dopo aver spiato Grand; e così in tantissimi altri punti del romanzo.
“È così che sappiamo che esistiamo, vedendoci negli occhi degli altri”. Ma cos’è che guardano di noi gli altri? Cosa vedono per davvero?
Una pelle del colore “diverso”? Un orientamento sessuale “sbagliato”? Disabilità, paure “insensate”? Gli occhi esprimono giudizi senza nemmeno chiedere. Si fanno un’idea senza nemmeno domandare.
E noi, chi finiamo per essere? Qual è il riflesso a cui possiamo o dobbiamo aggrapparci per rimanere noi stessi? Davvero possiamo arrivare a pensare di essere persino il diavolo?
“L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel è un libro necessario, non c’è altro da dire. Maneggiate con cura quelle parole, anche se loro non saranno altrettanto buone con voi. Ma, alla fine, le ringrazierete.