“Scusate il disturbo” di Patty Yumi Cottrell: complesso
“Scusate il disturbo” di Patty Yumi Cottrell (66thand2nd) è un libro che potrebbe trarre in inganno: le premesse vengono ribaltate e il lettore riesce a districare la matassa delle emozioni solo alla fine della lettura, rimanendo del tutto affascinato dalla capacità narrativa dell’autrice.
TRAMA – Helen Sorella Affidabilità, Helen paladina dei più deboli, Helen salvatrice del mondo. Helen che condivide un monolocale a New York e si occupa di ragazzi problematici dopo una breve, brevissima stagione di popolarità come artista emergente a Milwaukee. Helen che riconduce sempre tutto a sé stessa, una delle sue molteplici doti. Eppure quando il fratello adottivo si suicida, e lei torna nella casa d’infanzia in cerca di indizi che possano spiegare il suo gesto, si ritrova alle prese con due genitori che preferirebbero non averla tra i piedi e uno zelante consulente del dolore che la tratta con troppa condiscendenza. La sua indagine si complica: su un sito Internet legge che le ragioni dietro un suicidio sono sei, come illustra a un amico del fratello che la ascolta basito, ma poi si rende conto che in realtà sono migliaia, che sei è «solo un altro modo di dire abisso». Presto tra le intenzioni di Helen e le azioni delle persone che la circondano si crea un cortocircuito che dà vita a una narrazione brillante – in cui riecheggiano le opere di Bernhard, Beckett e Bowles –, impregnata di tetro umorismo, sempre in bilico tra realtà e nonsenso.
C’è una struttura narrativa sottile ma allo stesso tempo molto marcata in “Scusate il disturbo”. Sottile perché procede quasi senza che il lettore se ne accorga, marcata perché una volta terminata la lettura appare così evidente da domandarsi come sia stato possibile non accorgersene prima.
Procede per contrapposizioni Patty Yumi Cottrell, senza fare mai dei paragoni espliciti o diretti, e il lettore all’inizio non può che rimane confuso dalla protagonista della storia, Helen, che fornisce un preciso quadro di sé al quale si è tentati di credere. È una trentenne che ha lasciato la provincia per andare a vivere a New York, dove lavora prendendosi cura di ragazzi con difficoltà. Certo, New York non è una passeggiata, c’è da fare qualche compromesso, ma alla fine Helen se la cava.
Cosa che sembra non essere riuscito a fare suo fratello che, a 29 anni, ha deciso di togliersi la vita.
Era depresso? Era malato? Da quanto tempo pensava al suicidio? Helen si fa tante domande e parte verso la casa dei suoi genitori adottivi per capirne di più, per “svelare il mistero” di quella morte che le sembra così assurda e insensata.
Man mano che si va avanti nella lettura la contrapposizione tra i due fratelli continua: l’autrice non dà delle imbeccate – d’altronde, non è lei il narratore – ma riesce continuamente a dare al lettore degli spunti per farsi un’idea più chiara. Helen inizia a raccontare come stanno veramente le cose, e allo stesso tempo si scopre quanto fosse amato il fratello, quanto volesse per davvero cambiare la vita della gente. E il suo gesto arriva ad apparire così pieno di senso, da sembrare quasi l’unica scelta possibile.
Ma allora, perché è Helen quella ancora viva?
La sua totale “inutilità” – sembra un terribile modo di etichettarla, ma non riesco a trovare un termine diverso – è racchiusa in una frase: “Anche io avevo le mani sporche di sangue?, mi chiesi. No, io le mani me le sono lavate. Addirittura disinfettate. Se anche non avevo fatto niente per lui, almeno ero rimasta neutra, uno zero almeno non provoca danni a nessuno”.
“Uno zero”, ecco cos’è Helen. Suo fratello stesso si chiese come facesse ad aiutare gli altri una persona così, che durante tutto il romanzo non riesce a fare nemmeno una cosa di utile per chi le sta intorno. Ci prova per davvero, o la sua è solo indolenza? Una totale mancanza di corrispondenza tra pensiero e azione? Una incapacità che non trova rimedio?
Sono andata avanti nella lettura di “Scusate il disturbo” con le motivazioni sbagliate: volevo sapere del suicidio di quel ragazzo che indossava sempre la stessa polo azzurra, volevo saperne di più mentre Helen quasi se la passava liscia nei suoi due passi avanti e uno indietro. O uno avanti e due indietro.
Patty Yumi Cottrell mi ha fatto cadere nel suo tranello di astuta narratrice, ma è bastato farsi una paio di domande a lettura terminata per capire qual era la direzione giusta in cui guardare.
“Scusate il disturbo” non è un libro “facile”, di quelli da leggere mentre c’è la tv accesa in sottofondo. Richiede un pizzico di attenzione in più, la capacità di cogliere una visione di insieme che arriva quasi come un’illuminazione solo alla fine del romanzo, ma che restituisce una delle sensazioni più belle che possa dare un libro.