“Bottigliette” di Sophie van Llewyn: un piccolo gioiello
“Bottigliette” di Sophie van Llewyn (Keller) è un piccolo gioiello. Un romanzo che ha il sapore dell’inatteso e dell’inaspettato e che mi ha aperto il cuore.
TRAMA – Nella Romania degli anni Settanta, oppressa dal regime comunista di Nicolae Ceaușescu, i giovani sposi Alina e Liviu, entrambi insegnanti, si ingegnano a incanalare come meglio possono la propria vita nelle strettoie della dittatura. Ma un giorno il fratello di Liviu fugge all’Ovest e, poco dopo, Alina si rifiuta di denunciare una sua piccola allieva per il possesso di una rivista proibita. La coppia entra così nel mirino delle forze governative, e le loro rispettive carriere, insieme al matrimonio, cominciano a sgretolarsi. Non resta che scappare dunque, anche per provare a salvare quel che resta della loro felicità. Con una madre che non la appoggia e la Securitate determinata a distruggere le loro vite, Alina decide di rivolgersi a zia Theresa, moglie di un importante esponente del partito e depositaria di antichi e magici rituali popolari… E sarà la magia a dare una sterzata alle vite di tutti.
“Bottigliette” si è svelato, pagina dopo pagina, mostrandosi in tutta la sua bellezza. All’inizio non avevo colto la sua profondità, forse a causa di una lettura disattenta, ma dal momento in cui la storia mostra le prime crepe la trama mi ha letteralmente imprigionata.
La vita di ognuno di noi ruota a momenti chiave che rappresentano delle vere e proprie svolte. Lo stesso succede nella storia di Alina: fatti che sembrano insignificanti oppure eventi che non dipendono dalla sua volontà, cambiano ogni cosa, segnando con una linea spessa un confine tra il prima e il dopo.
E se vivi oppressa da un regime dittatoriale le conseguenze sono brutali.
Sono così profonde che coinvolgono ogni cosa, cambiano il naturale equilibrio di alcuni rapporti, impongono la ricerca di una via di uscita.
Vuole scappare Alina, scappare dalle aspettative “spaiate” di sua madre, da un martedì che non ha più il sapore di una torta ma di una violenza, dalla visione “arida e appassita” di se stessa. Ma per farlo, dovrà essere coraggiosa e ribellarsi. E ricorrere a un espediente “magico”, che ovviamente non vi svelo, e che avrà il gusto dolce della libertà e amaro della colpa.
In “Bottigliette” il tono della narrazione alterna: da leggero, sottile e ironico, si trasforma in cupo, avvilente e drammatico. Convivono bellezza e orrore nelle pagine di questo racconto, l’immagine della Romania comunista e i sogni di una donna che arriva a dire, con una sconfortante accettazione: “Non c’è più niente che possono togliermi”.
Allo stesso modo si passa dalla prima alla terza persona, ma è un cambiamento a cui bisogna prestare attenzione perché si è talmente dentro la storia che si fa fatica ad accorgersene.
A volte la scrittura di un autore prende una piega didascalica, descrittiva in modo asettico, mentre quella di Sophie van Llewyn ricama attorno a gesti, a vuoti silenziosi, a una torta di compleanno che scivola lentamente nella pattumiera, a una sigarette spenta in un residuo di purè di patate, riuscendo a rendere ogni immagine pieno di senso.
Le sue sono istantanee che raggiungono i sensi, senza bisogno di troppe parole.
Leggendo l’ultima pagina si rimane sospesi, sbalorditi. Da lì la narrazione avrebbe potuto proseguire ulteriormente, ma un finale così era quello che ci voleva. Chissà che faccia avrà fatto la povera Alina…