“Resti” di Gianni Agostinelli: un romanzo crudo, che non fa sconti
“Resti” di Gianni Agostinelli (Italo Svevo) è un pugno allo stomaco. Un romanzo crudo, che non fa sconti. Uno scossone sul quale vale la pena soffermarsi a riflettere.
TRAMA – Leo, Massimo e Alceste crescono insieme in un piccolo paese della campagna umbra, con le sue strade sterrate e i campi coltivati. Ma dietro questo sfondo da cartolina, tanto caro ai turisti stranieri e ai villeggianti del fine settimana, si nasconde in realtà quel grigiore esistenziale proprio delle vite di provincia, che nel corso degli anni finirà per segnare profondamente i tre protagonisti. Tra dolore e sopraffazione, speranze frustrate e invidie mai sopite, i loro destini si incroceranno per caso un’ultima volta, dopo una notte di violenze in un ex agriturismo, divenuto centro di accoglienza per immigrati. Resti è un romanzo cupo e spietato, che procede per sottrazione e punta dritto al midollo dell’animo umano.
Un attimo dopo aver terminato la lettura di “Resti” ho iniziato a rimuginare sulla percezione della realtà. Ho preso a pensare a come ogni cosa che ci circonda possa essere vista, sentita, percepita, in modi così diversi e distanti che non dovremmo più stupirci delle differenze che ci caratterizzano.
Non glien’è mai fregato niente di quei posti, c’è semplicemente nato e cresciuto. Non sa neppure dire se siano belli o no.
È incredibile provare a immaginare cosa significhi essere indifferenti a qualsiasi cosa, trascinarsi all’interno di un’esistenza che non ha alcuna direzione, per non parlare di un minimo di senso. Questo è Leo, uno dei protagonisti di questo romanzo, la cui parabola è quella che mi ha fatto più paura.
Si trasforma Leo, in un modo così radicale e profondo che viene da chiedersi quanto di quell’orrore fosse solo sopito, mascherato, camuffato. Cambia tornando alle proprie radici, là dove probabilmente quella violenza si era creata e si era fatta spazio dentro di lui, volente o nolente.
Là, di fronte casa di Massimo. L’ha visto crescere e crede che molte cose se le sia meritate, che altre invece sarebbero spettate a lui. Ma che cosa ha fatto Leo per crederlo? Da dove arrivano quelle convinzioni?
Osserva quella manciata di case panna, rosa, di tufo o di pietre vecchie che sono cresciute intorno alla chiesa. Si ricorda di quando da piccolo con Massimo e Alceste salivano in cima alla collina e da lì lanciavano giù i sassi, come a voler colpire tutto il paese.
Massimo prende le cose di petto, afferra quello che vuole, non si disturba a chiedere o a chiedersi se sta facendo la cosa giusta. Guarda solo avanti, mai indietro, perché non può fare altro. Non riesce a fare altro. Non arriva nemmeno a percepire chi gli sta intorno, esiste solo lui. Fino a quando, inevitabilmente, non è troppo tardi.
E poi c’è Alceste. Così diverso, sin da quando erano bambini. Così buono, gran lavoratore, piegato dalle ingiustizie ma capace di rialzarsi. Come è possibile che siano stati compagni di gioco da ragazzi? Come hanno fatto a crescere in modi così opposti? Possibile che abbiano abitato gli stessi luoghi, respirato la stessa aria?
Gianni Agostinelli lungo la narrazione non va mai in profondità, né nei pensieri, né nei sentimenti dei suoi protagonisti. Ci racconta la loro storia, senza aggiungere nulla. Sta a noi riempire i vuoti, con le nostre domande, le nostre ipotesi.
L’autore ci restituisce immagini crude, a volte violente, ma sempre contestualizzate. Non c’è nulla di gratuito o di forzato, leggendo ci si rende conto che quella strada era l’unica percorribile per i tre protagonisti.
In “Resti” non vengono trattati temi che potremmo definire nuovi. La “provincia” è un argomento caro a molti scrittori e descriverla senza risultare banali o ripetitivi non è facile. L’autore in questo caso c’è riuscito perché ha spostato il focus sul non detto, sulle occhiate silenziose, sui rancori latenti, sugli eterni ritorni.
Sull’inevitabile, che non è detto che non riesca a serbare dell’inatteso.
“Resti” non è stata una lettura facile, né semplice, perché i temi trattati sono forti. Però posso dire che l’ho letto in un giorno, con la smania di sapere, di provare a capire, di tentare di aggiungere una nuova prospettiva. Di certo mi resta tanto su cui continuare a riflettere. Quando succede significa che le parole di quel libro hanno fatto centro.