“Le Janare” di Gaetano Lamberti: da brividi
Fine ottobre è stato il periodo perfetto per immergermi – finalmente! – nella lettura de “Le Janare” di Gaetano Lamberti (Il seme bianco). Posso dire che le mie aspettative su questo romanzo sono state ampiamente superate e non vedo l’ora di leggere qualcos’altro di questo autore così talentuoso.
TRAMA – Castel di Sopra, 1997. Nonno Alfonso regala a suo nipote Martino una spilla da balia e un sacchetto pieno di sale, «Contro il malocchio», gli dice. Ma ciò sembra non arrestare gli eventi che di lì a poco catapulteranno la famiglia di Martino in un turbinio di sciagure e di orrori. Di notte, alle tre in punto, una vecchia fattucchiera entra nella loro casa e lascia i segni del suo passaggio. Da allora, secondo la tradizione popolare, la famiglia proteggerà la casa mettendo accanto a ogni porta d’ingresso una scopa capovolta. Il susseguirsi di disgrazie, però, sembra non arrestarsi e costringerà tutti a non fidarsi l’uno dell’altro e a scontrarsi in un vortice di iattura che svelerà terribili segreti e arriverà a estreme conseguenze.
“Le persone cattive possono fare in modo che ti capitino delle disgrazie, una dietro l’altra. Possono farlo semplicemente incrociando i tuoi occhi o, addirittura, guardandoti a debita distanza”.
“Sono degli stregoni?”.
“Non proprio, sono persone normali che, per invidia o per odio, desiderano il male per te. Lo desiderano così tanto che riescono a intromettersi nel corso della tua vita per seminare odio e sciagure”.
Ecco chi sono le janare. Amanti del Maligno, sono donne capaci di procurare un dolore enorme e duraturo dopo uno sgarbo da niente e del tutto passeggero.
Gaetano Lamberti le racconta andando sempre dritto al punto, senza giri di parole inutili, riempiendo quelle descrizioni di un’angoscia vivida che rende alcune pagine difficili da digerire.
Al centro della narrazione c’è la famiglia di Martino. Una famiglia già problematica che adesso è messa a dura prova da fatture e dalla presenza, di notte, delle janare. Disposte a fare davvero di tutto per il loro tornaconto.
In un gioco di inganni, di facili tentazioni, l’autore muove i fili di una storia dai contorni per nulla scontati, con risvolti truci e passaggi molto toccanti.
Lungo l’arco narrativo si inseriscono anche altri elementi che danno al lettore spunti di riflessione. Il rapporto di Martino con il padre (c’è un capitolo che mi ha profondamente segnata, nel quale l’autore ha espresso la sua profonda sensibilità); l’ansia di essere oggetto di sguardi altri: “Dovete affrontare un altro pericolo: le persone, quelle vere”, dice a un certo punto la nonna a Marisa e a Martino, come se la venuta delle janare fosse poca cosa al confronto del giudizio degli altri.
Ne “Le janare“, l’orrore, così come il terrore, aumentano proseguendo nella lettura. Gaetano Lamberti è capace di descrivere alcune scene con un taglio così nitido che rimangono negli occhi di legge. Ancora e ancora. Così come la sensazione di non essere al sicuro, la voglia di accendere la luce, di prendere un po’ di sale.
Ma quello che fa veramente paura è che il male può sfiorarti oppure entrarti sotto pelle. Cambiare la tua natura, rivelare la tua parte più oscura. “Il male stava salendo a galla”, si rende conto Martino, un attimo prima che le sue certezze vacillassero fino a spezzarsi.
Ma che cos’è il male? C’è da chiederselo alla fine della lettura de “Le janare“. C’è da domandarsi che forma abbia, che aspetto possa assumere, cosa ci bisbiglierebbe di notte. Augurandoci di non scoprirlo mai.