“Il grande me” di Anna Giurickovic Dato: un romanzo dal dolore autentico
“Il grande me” di Anna Giurickovic Dato (Fazi) è un romanzo complesso, stratificato, che porta con sé un’autenticità dolorosa, impaziente, fremente. Diversi piani narrativi formano un libro non facile, ma che diventa necessario.
TRAMA – Simone, davanti alla consapevolezza di una morte certa, viene raggiunto a Milano dai suoi tre figli, dopo molti anni di lontananza. È l’inizio di un periodo doloroso, ma per Carla si tratta anche dell’ultima occasione per recuperare del tempo con suo padre. Simone, angosciato dal pensiero di aver fallito e di non poter più cambiare il suo passato, ripercorre le tappe della propria eccentrica esistenza, vissuta con grande passione e voracità. Mentre la sua lucidità mentale vacilla sempre più, vuole usare il poco tempo che gli resta anche per rimediare a vecchi errori e confessa ai figli un segreto. In Carla e i suoi fratelli riaffiorano ricordi di anni lontani, i momenti dell’infanzia in cui la famiglia era ancora unita e quelli legati alla separazione dei genitori, nel tentativo di ricostruire una verità dai contorni sempre più incerti. I ragazzi non possono far altro che assecondare il padre, tra realtà e delirio, mentre la malattia si dilata richiedendo sempre più attenzioni e occupando la totalità delle loro giornate. Inizia così una ricerca – anche interiore – dai risvolti inaspettati, che porterà Carla e la sua famiglia a scontrarsi con un’ulteriore dura realtà, oltre a quella della vita e della morte. Sarà un confronto necessario, che Carla ha cercato e allo stesso tempo sfuggito per anni, ma che ora dovrà affrontare con tutta la forza di cui è capace.
Siamo stati abituati a nascondere il dolore. A ritenerlo una faccenda da sbrigare in solitudine, senza disturbare. Non è elegante esibirlo, non è richiesto manifestarlo.
Ne “Il grande me” Anna Giurickovic Dato regala una serie di squarci vividi che raccontano questa doppia faccia: il dolore privato, fatto di menzogne nei confronti di chi sta soffrendo, di domande taciute, di gesti inadatti; e il dolore esibito, che ti rende diverso agli occhi degli altri anche se stai solo camminando, fatto di domande urlate ai medici, di gesti avventati.
È Carla a raccontarci l’ultimo periodo della vita di suo padre. Simone sta morendo e i suoi figli, ormai lontani, tornano a casa per stare con lui. È un periodo straziante, di quelli che vorresti che finissero subito mentre speri di averne ancora un po’.
Facciamo finta tu sia già morto, lasciami in pace, fammi superare questo lutto ora, fammi piangere, fammi rimanere incredula, fammi disperare e strappare i capelli e dire no, non è vero, non può essere vero, e poi capire, accettare, andare avanti. Smettila di essere vivo quando non puoi esserlo.
E sin da subito ognuno dei tre figli gioca il suo ruolo: “Gli restiamo accanto, sempre presenti ma un po’ nascosti, con la neutralità che è richiesta alle comparse”. Diventano muti, ciechi, silenti. Diventano altri davanti a lui, conservando a malapena il ruolo di figli, ancorandosi a vecchie immagini che non torneranno, a ricordi che si confondono e che non hanno importanza.
Siamo gli addetti all’allegria e conduciamo il nostro lavoro con scrupolo. Creiamo l’armonia con l’inganno, disertiamo la verità con orgoglio e con essa l’amore, che sa essere vero e si lascia vivere, ormai, soltanto come una vicenda privata, nella solitudine.
“Il grande me” è un romanzo a strati perché c’è la malattia, raccontata con estrema verità tanto da risultare ruvida e spaventosa, esattamente per quella che è, senza indorare nessuna pillola; c’è l’amore di Carla nei confronti di suo padre, declinato in più manifestazioni, nessuna che comprenda anche l’amore verso se stessa; c’è un segreto che rischia di rovinare una famiglia già in pericolo; c’è il passato, così lontano e diverso da avere una luce accecante.
Lo stile di Anna Giurickovic Dato è diretto, inclemente, aspro. Punge nella sua amarezza, incalza nei periodi lunghi che diventano elenchi, lascia un retrogusto acre che sa di autenticità. Morde e inchioda alle pagine.
Le ultime battute de “Il grande me” sono un pugno allo stomaco. Una chiusura che è solo apparente, un sospiro rimasto bloccato a metà. A fine lettura bisogna prendersi del tempo per pensare, riflettere, rimuginare. Ci sono periodi che rimangono attaccati alla pelle, fanno da monito, bisogna non dimenticarli.
“Il grande me” è un libro complesso, che scava tra le righe, che richiede uno sforzo, ma che sa come rimediare.