“L’inguaribile” di Tommaso Soldini: fuori dall’ordinario
“L’inguaribile” di Tommaso Soldini (Marcos y Marcos) è un romanzo molto originale, con interventi di stile che lo rendono unico.
TRAMA – Quando Gemma lo lascia all’improvviso, Michele si sente mancare la terra sotto i piedi. Schivando la collega Giorgia, pronta a offrirgli consolazione, si immerge nel suo lavoro al giornale, dove scrive lunghi articoli di cronaca giudiziaria. Il caso scottante di Roby Ratter, noto neonazista che prima truffa un amico e poi cerca di ucciderlo per non farsi smascherare, gli offre un’illuminazione inaspettata. Ma Gemma scompagina ogni tentativo razionale di comprendere, dileguandosi, con il suo inconfondibile cappello rosso, oltre la porta di uno swinger club. Michele la segue ciecamente. Come un fiabesco cavaliere innamorato, sventa tranelli, affronta labirinti, si crede capace di superare ogni prova per riconquistarla.
Quando mi approccio a un romanzo che non rispecchia i tradizionali canoni di linearità nella stesura, finisco per ritrovarmi in una posizione scomoda nel momento in cui “mi tocca” formulare un giudizio.
Perché, sebbene io sappia perfettamente che la recensione rispecchi il mio – personalissimo – gusto, ritengo che sia anche corretto guardare con oggettività a un risultato decisamente fuori dall’ordinario, premiandolo per la sua originalità.
Provo a spiegarmi meglio.
Sin dalle prime pagine de “L’inguaribile” di Tommaso Soldini ho capito che c’era da stare con tutti i sensi in allerta. L’autore ha cominciato a darmi i primi indizi troncando le frasi: “mandare tutto a”, “E tutto svanì per qualche”, “capì che”.
Ma non è stato il suo unico modo di giocare con le parole. Vi porto due esempi per me davvero significativi:
Le vennero due chiappe di Milo a furia di spazzare, strofinare, spolverare, sparecchiare, stendere. Tutti verbi con la esse, a dimostrazione dell’etimologia comune: schiavizzare o essere schiavizzata. Logico che sarebbe scappata nel primo modo possibile, anche solo per salvarsi dalle sibilanti.
E ancora:
Aveva impiegato venti minuti per fottere consenzientemente la propria vita. Ci metteva di più a pronunciare l’avverbio o a sillabarlo, con tutte quelle enne.
Questi divertissement linguistici, insieme a tanti riferimenti più o meno velati a classici della letteratura, mi sono piaciuti molto, ma devo confessarvi che ogni tanto mi hanno distratta.
Così come i commenti inseriti lungo tutto il testo. Mi era già capitato in passato un altro romanzo così strutturato, sebbene di genere molto lontano da “L’inguaribile“, e anche in questo caso ho avuto la stessa sensazione.
Dato che nei commenti la visione di insieme si allarga, si tende a inserire nuovi elementi, io ho finito per distrarmi, immaginandomi una scena diversa e un personaggio nuovo, lontano nel tempo e nello spazio, a recriminare il suo posto in una storia. Mi strappavano una risata, magari, ma tornare indietro alla storia principale era, alcune volte, un passo complicato e, lo ammetto, molti commenti li ho saltati.
Da dove deriva questa esigenza dell’autore di riempire il suo romanzo in questo modo? Forse la risposta si trova in un’unica frase: “Le parole a volte hanno ancora un senso”.
E le parole di Soldini un senso ce l’hanno, eccome, e rimane anche (o forse, soprattutto) quando la scrittura viene spogliata di quanto detto finora. In quei momenti, ho divorato le pagine. Ho trovato in Miché una profondissima umanità, le sue riflessioni sono sempre colme di senso e il continuo provare a imboccare la strada giusta mi ha portata a empatizzare moltissimo con lui e i suoi buchi della barba.
Ho amato i suoi ragionamenti mentre fa il mestiere che ci accomuna, e mi sono persa nel suo viaggio al Petit Princesse degno di Alice nel paese delle meraviglie. Onirico, folle, colorato, insensato, rivelatore.
Io non lo so se Miché la strada per uscire l’ha trovata o se non la vuole nemmeno cercare. Non lo so se ha cominciato a prendersi delle responsabilità in quel futuro così vicino che conserva tratti anacronistici. Non lo so se ha trovato un equilibrio o se un po’ di pace se la merita.
So solo che è ancora giovane, e che ha ancora tempo per sbagliare, sbandare, scegliere. Oppure procrastinare, perdersi e provarci.
Che ci volete fare? Avevo voglia di giocare un po’ anche io!