“Mary Lavelle” di Kate O’Brien: non mi ha appassionata
Quando ho iniziato “Mary Lavelle” di Kate O’Brien (Fazi) mi aspettavo una lettura molto più coinvolgente. E invece…
TRAMA – Irlanda, 1922. La giovane Mary Lavelle intraprende un lungo viaggio per raggiungere Altorno, in Spagna, dove l’attende un incarico di istitutrice e insegnante di inglese presso la famiglia Areavaga. La decisione del fidanzato John di rimandare le nozze, in attesa di una più soddisfacente stabilità economica, è solo il pretesto della partenza. La verità è che Mary intende seguire, finalmente, l’impulso all’indipendenza, e la Spagna risponde perfettamente al suo bisogno d’avventura. I colori sconvolgenti del paesaggio, il carattere misterioso e infuocato degli abitanti, l’eleganza e il sangue della corrida colpiscono profondamente la giovane, iniziata ai misteri dell’affascinante paese del Sud dal circolo delle “miss” irlandesi che vi abitano da molti anni. Una di loro le confesserà di amarla, in due pagine di sincera intensità che, nel 1936, costarono al libro la censura immediata. Ma Mary è destinata a ricambiare, con grande sensualità, l’amore di Juanito, il figlio sposato degli Areavaga, provocando lo scandalo che segnerà la vita di tutti.
Ci sono pagine bellissime in “Mary Lavelle” e altre di una noia mortale. Per questo la lettura non è stata né scorrevole, né appassionante.
La trama già racconta tutta la storia: la giovane Mary, stanca di aspettare che il suo fidanzato e promesso sposo diventi ricco prima di portarla all’altare, decide di partire per la Spagna alla ricerca di un po’ di avventura.
Quello che doveva essere un percorso di crescita della protagonista, diventa il resoconto di un paio di situazioni che si ripetono: l’andata alla corrida e l’incontro con le altre “miss”. Perché lo riduco a questo? Perché sono gli episodi a cui si torna più spesso e probabilmente quelli meno interessanti.
Avrei preferito che si indugiasse un po’ di più sulla sua vita di insegnante, e sul rapporto che aveva costruito con le tre figlie di Don Pablo, ad esempio. Oppure sulla storia tra lei e Juanito.
Che dirvi dei due amanti? A tratti mi è sembrato di guardare una telenovela. Quando si parla di amori tormentati e impossibili non posso che pensare a “Cime tempestose” o a “Jane Eyre” e mi dispiace dirlo, ma “Mary Lavelle” non può essere minimamente paragonato a capolavori di quel calibro.
È tutto molto affrettato, tutto di corsa. Peccato, perché il loro primo incontro, quel loro primo incrociarsi di sguardi – arrivato come una ventata di ossigeno dopo pagine di abbrutimento, a metà del romanzo – sembrava annunciare capitoli pieni di vita e di amore travolgente, e invece…
Anche qui, “e invece”. Ci saranno solo un paio di incontri durante i quali, come se non bastasse, i dialoghi sono davvero tremendi. Vuoti, ridondanti, stucchevoli.
Peccato perché bellissimi sono i momenti puramente descrittivi, sia quando l’autrice ci fa osservare gli ambienti e i luoghi, sia quando apre uno spiraglio sui sentimenti di Mary e non sono nei suoi. I passaggi di introspezione e di travaglio interiore sono i migliori, quelli raccontati con maggiore cura, con una prosa musicale e avvolgente.
Poi, quando i personaggi prendono la parola, la magia improvvisamente svanisce.
E il finale? Mah. Mi aspettavo qualcosa di più, qualcosa che non fosse così banale e scontato.
Leggendo “Mary Lavelle” non ho avuto quei palpiti che mi sarei aspettata dopo aver visto la trama. Ho avuto voglia di ritornare in Spagna e di immergermi in quelle atmosfere, ma nulla di più. Dei protagonisti di questo libro, purtroppo, non mi rimarrà niente.