“Alla radice” di Miika Nousiainen: ci vuole ironia per parlare di famiglia
“Alla radice” di Miika Nousiainen (Iperborea) è stato una bellissima scoperta. Mi aspettavo una storia leggera, e invece non sono mancati momenti di commozione e spunti di riflessione.
TRAMA – Solo il cognome, Kirnuvaara, sembra accomunare Pekka, vittima di un cronico mal di denti, e il suo nuovo dentista Esko. Pekka è uno spigliato, sensibile e moderno copywriter di mezz’età che non ha mai superato l’abbandono da parte del padre e che ora, con il fallimento del suo matrimonio e una disputa in corso sull’affidamento dei figli, vede infrangersi il suo ideale di famiglia perfetta. Esko, che ha quasi sessant’anni, ha invece preso spunto dai freddi genitori adottivi per elevare l’odontoiatria a filosofia di vita e praticare l’anestesia anche su emozioni e sentimenti. Ma con lo scavo nelle radici dentali di Pekka emergono ben altre, e condivise, radici: dietro lo stesso cognome, si scopre, c’è lo stesso padre. Dopo qualche trapanatura e le prime inevitabili, buffe incomprensioni, la corazza di Esko s’incrina e l’improbabile coppia di fratelli si mette sulle poche tracce che ha di lui, sperando di trovare una buona ragione per una doppia negazione d’amore paterno. Nasce così, in un asettico studio dentistico di Helsinki, una storia on the road calda e coinvolgente, dove ogni tappa verso lo svelamento finale arricchisce la famiglia Kirnuvaara di nuovi, sorprendenti parenti, formando un variopinto amalgama multietnico. Tra incontri e scontri di personalità, siamo scorrazzati dalla Carelia del Nord alle degradate periferie di Södertälje in Svezia, dalla Thailandia, con il suo deteriore turismo, ai grandi spazi dell’outback australiano, sacri agli aborigeni: un viaggio di conoscenza – di sé e del diverso da sé, oltre che del concetto di paternità – che si farebbe quasi iniziatico, se non fosse per le esplosioni di un’insopprimibile verve comica degna della migliore tradizione umoristica finlandese.
Non so perché, ma prima di iniziare “Alla radice” ero convinta di avere tra le mani un libro “leggero” e invece, oltre a sorridere in più di una occasione, mi sono emozionata molto. Tutta colpa di Esko.
Siamo in Finlandia, in Carelia, dove Pekka, un pubblicitario di mezza età alle prese con il divorzio e un terribile mal di denti, nelle prime pagine del libro parte col raccontarci di come suo padre lo abbia abbandonato da bambino, guadagnandosi tutto l’astio di sua madre e procurandogli questo senso di vuoto che ancora non è riuscito a colmare.
Nella pagina successiva si trova nella sala d’attesa di un dentista che ha il suo stesso cognome. “Siamo cugini?”, gli chiede, ma l’altro non dice niente. Pekka non è di certo uno che molla, anche se è difficile relazionarsi con Esko, una lastra di marmo che sa solo parlare di denti, l’unica cosa a cui tiene è l’igiene orale, la sola cosa che ama è il filo interdentale.
L’ho amato immediatamente.
È ufficialmente entrato nella lista di quei personaggi che non si dimenticano. Sia per la sua fortissima caratterizzazione – l’autore ha saputo scrivere dialoghi al limite del surreale – sia per il profondo cambiamento che affronterà all’interno del romanzo.
“Te la sei mai goduta?”.
“Bisogna sempre per forza godere?”.
“Be’, sei mai stato felice?”.
“Ho i miei momenti neutri”.
Pekka, come dicevo, non si arrende e finisce per scoprire che in realtà lui e il dentista sono fratelli. La reazione alla notizia, da parte dei due, non potrebbe essere più diversa.
Pekka vuole trovare suo padre, capire perché li ha abbandonati. Esko no, vorrebbe solo occuparsi di otturazioni e di maltrattare la gente che ingurgita zuccheri. Ma, come dicevo prima, a Pekka non si riesce a dire di no.
E così, traccia dopo traccia, partono per un viaggio incredibile che li porterà in Svezia, poi in Thailandia e infine in Australia, dove la famiglia si sarà ampiamente allargata e si scoprirà la verità su loro padre.
La forza di “Alla radice” sta a mio avviso nei suoi personaggi. L’autore è riuscito a tracciare personalità complesse e molto diverse, dando al lettore la possibilità di scoprirle piano piano.
Pekka infila una battuta dietro l’altra, con un’ironia semplice ma intelligente che diventa chiave di lettura per capire gli eventi e le persone, ma anche un po’ se stesso. Sul finire del libro ci farà una rivelazione che getterà nuova luce su tutto quanto.
Esko per me è stato spiazzante nelle sue dichiarazioni: “Ho dovuto imparare l’amore nella teoria. Ma purtroppo la teoria non basta. In amore, come in odontoiatria, la pratica è tutto”. Come si fa ad amare se nessuno te lo insegna? Come si fa ad aprirsi se a nessuno è mai importato nulla di te?
Il solo modo di relazionarsi con gli altri per Esko è stato nel suo studio (dove i pazienti possono stare solo in silenzio!) e questo viaggio sarà per lui una vera e propria rivoluzione. Esko desidera quello che ognuno di noi cerca e brama, solo che non ha mai avuto modo di capirlo, di andarlo a cercare veramente. Non gli sono stati dati gli strumenti. Il momento in cui la sua corazza si incrina è davvero toccante.
La storia di “Alla radice” è scritta in prima persona, si alternano i capitoli di Esko e di Pekka. Ho apprezzato molto la scelta dell’autore di strutturare quelli di Esko molto più corti, quasi sfuggenti, rispecchiando esattamente la sua personalità, così restio ad aprirsi agli altri; mentre è Pekka, da chiacchierone qual è, a raccontarci tutta la storia.
Ma, anche se parla poco, a Esko viene dato anche il compito importante di tirare un po’ le fila, specie a un centinaio di pagine dalla fine. Sarà lui a “riassumere” il loro viaggio e lasciarsi andare a qualche riflessione più profonda. “Cercherò di comprendere chi non usa il filo interdentale”, dice con la massima onestà di chi ha dato valore solo all’igiene orale nella vita.
E questa sua apertura è il modo che ha scelto l’autore per parlarci del diverso, dell’altro. “Esiste qualcuno che voglia comprendere davvero chi è diverso? Dappertutto sempre lo stesso conflitto. Tra chi c’era e chi è arrivato dopo. Nessuno che si chieda invece come convivere l’uno accanto all’altro”.
L’autore di “Alla radice” ci presenta scenari differenti, in cui parlare dell’altro assume significati diversi, ma le domande sono sempre le stesse.
Bisognerebbe essere capaci di riconoscere che, per la miseria, qualcuno è diverso da me. Le nostre vite potranno anche essere incompatibili, ma chi non fa nemmeno lo sforzo di capirlo è da compatire.
Spunti sicuramente interessanti, specie perché si parla di culture molto lontane dalla nostra, peccato solo che in alcuni passaggi ho trovato un appesantimento che non rispecchiava in pieno la personalità di chi ne parla. Come se il tono improvvisamente cambiasse dato che il tema è importante. Va bene accendere i riflettori su un determinato argomento, ma calcare la mano non funziona.
Ad ogni modo, ho trovato “Alla radice” un romanzo davvero piacevole, in cui si parla di famiglia in modo originale, operazione non facile, e con quell’ironia di cui tutti abbiamo bisogno.
Finalmente ho una famiglia della quale vergognarmi. Con i propri cari bisognerebbe anzitutto condividere l’amore, ma la condivisione dell’imbarazzo è impareggiabile.