“Sete” di Kerry Hudson: ecco perché non mi è piaciuto
“Sete” di Kerry Hudson (Beat) non è stata una lettura semplice. Ho lasciato il tablet più volte sulla poltrona per riprendere fiato; quelle pagine, quelle parole, mi lasciavano un senso di oppressione tale da impedirmi di proseguire. Sapete meglio di me che probabilmente l’atteggiamento nei confronti di un romanzo è dettato anche dal particolare momento emotivo che si sta vivendo, e quasi sicuramente io e “Sete” ci siamo trovati in un momento sbagliato.
TRAMA – Dalla Siberia, Alena parte per Londra con il sogno di trovare un lavoro, un amore e nuove avventure da vivere. Ciò che l’aspetta appena atterrata nel Regno Unito è però molto diverso da quello che aveva in mente. Dave, cresciuto a Londra in un quartiere di case popolari, sognava di girare il mondo, e invece si ritrova imprigionato nella sua città, reduce da un matrimonio naufragato e schiavo di un lavoro che gli permette di sbarcare il lunario ma non gli dà nessuna soddisfazione. Alena e Dave si incontrano per caso, in circostanze che avrebbero dovuto fare di loro due nemici. E invece, contro ogni logica, si cercano, si trovano, e costruiscono una vita insieme in un precario equilibrio di silenzi. Nel breve periodo di un’estate insolitamente calda riescono a trovare conforto nell’illusione di poter dimenticare le proprie origini e il peso di scelte sbagliate. Ma scopriranno a proprie spese che la loro sete di avventura e libertà deve fare i conti con un passato troppo difficile da raccontare.
“Sete” è senza dubbio un romanzo ben scritto, lo stile è asciutto e tagliente e fa risaltare la vicenda che viene narrata, ma ci sono alcune cose che non mi hanno convinta. Intanto è la storia di due persone, ma Alena è decisamente più interessante di Dave, sia per l’atrocità di ciò che ha subito, sia per il suo presente, così instabile e incerto, discontinuo, una vera e propria altalena emozionale. Dave è sempre un po’ indietro rispetto a lei, avrei voluto che tirasse fuori un carattere diverso, più in opposizione che in ombra, invece rimane quasi sottomesso. L’avrei preferito meno frignone, diciamolo pure!
Nella prima metà del libro è come se si rimanesse impantanati. Per conoscere i due protagonisti si va continuamente indietro, leggendo la loro storia fino al momento del primo incontro, e la percezione che ho avuto è stata di schiacciamento. Questo continuo guardare al passato non fa andare avanti la narrazione, anche il presente sembra trascorrere più lentamente e si finisce per rimanere imprigionati in dinamiche sempre uguali che mi hanno appesantito ulteriormente la lettura.
La seconda metà del romanzo si apre con un evento che incrina la bolla che i due protagonisti si sono creati, unendo le loro solitudini tra bugie e sensi di colpa, e anche lì ho trovato alcune scelte un po’ forzate. Devo ammettere che la profonda angoscia che avvolge Alena da questo momento in avanti mi ha tirato fuori dalle sabbie mobili in cui ero finita durante la prima parte della storia e mi ha fatto andare avanti con maggiore attenzione e curiosità.
Purtroppo, però, l’entusiamo è durato poco perché gli ultimi capitoli li ho trovati estremamente lenti. Va bene tenere il lettore impegnato per arrivare alla fine, ma così si ottiene l’effetto contrario. Il viaggio di David alla ricerca del suo lieto fine viene raccontato nei minimi dettagli, anche quando davvero non ce n’è motivo: pagine che mi sono sembrate un mero riempitivo e che si potevano tranquillamente eliminare. Non mi hanno convinto nemmeno gli stati d’animo di David, marcatamente esagerati. Avrei voluto essere con lui su quel treno per dirgli: “La finisci di piangere???”.
Un ultimo tassello si aggiunge nelle ultime righe, non dico nulla ovviamente, ma anche in quel caso ho storto il naso chiedendomi se davvero ce ne fosse bisogno. Non c’era già abbastanza da digerire?