“Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi: ironico e molto acuto
Mi ha strappato più di un sorriso “Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi (Feltrinelli), un romanzo pieno di intelligente ironia, con alcune trovate davvero dense di significato, che conserva un retrogusto di nostalgia e di voglia di cambiamento.
TRAMA – In un’Italia ribaltata – eppure estremamente familiare –, le complicazioni del pensiero e della parola sono diventate segno di corruzione e malafede, un trucco delle élite per ingannare il popolo, il quale, in mancanza di qualcosa in cui sperare, si dà a scoppi di rabbia e applausi liberatori, insulti via web e bastonate, in un’ininterrotta caccia alle streghe: i clandestini per cominciare, poi i rom, quindi i raccomandati e gli omosessuali. Adesso tocca agli intellettuali. Il primo a cadere, linciato sul pianerottolo di casa, è il professor Prospero, colpevole di aver citato Spinoza in un talk show, peraltro subito rimbrottato dal conduttore: “Questo è uno show per famiglie, e chi di giorno si spacca la schiena ha il diritto di rilassarsi e di non sentirsi inferiore”. Cogliendo l’occasione dell’omicidio dell’accademico, il ministro degli Interni istituisce il Registro Nazionale degli Intellettuali e dei Radical Chic per censire coloro che “si ostinano a credersi più intelligenti degli altri”. La scusa è proteggerli, ma molti non ci cascano e, per non essere schedati, si affrettano a svuotare le librerie e far sparire dagli armadi i prediletti maglioni di cachemire… Intanto Olivia, la figlia del professore, che da anni vive a Londra, rientrando per il funerale, trova un paese incomprensibile. In un crescendo paradossale e grottesco – desolatamente, lucidamente divertentissimo –, Olivia indaga le cause che hanno portato all’assassinio del padre. Attraverso i suoi occhi, facendo scattare come una tagliola il meccanismo del più affilato straniamento letterario, Giacomo Papi ci costringe a vedere, più che il futuro prossimo, il nostro sobbollente presente. Con spietata intelligenza e irrefrenabili risate. “Questo libro non contiene parole difficili.” Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana DL, 17/6, n. 1728
Sarebbe stato facile, davvero fin troppo, sparare a zero su qualsiasi categoria. Gli ignoranti, gli intellettuali, i finti intellettuali che si mettono in posa, i cretini per scelta più che per vocazione, ma Giacomo Papi con “Il censimento dei radical chic” è riuscito a non farlo. Sì, perché ogni volta che fa un passo per farci sorridere, prendendo in giro uno chiunque di noi, subito dopo ne fa un altro, ritornando serio, e mostrandoci cosa sta succedendo in questo nostro mondo sempre più desolato.
Giacomo Papi è riuscito, in queste pagine densissime, a raccontarci il nostro presente con grande intelligenza, scrivendo una storia che ha del paradossale – ma non più di tanto – lasciandoci molto su cui riflettere. “Il censimento dei radical chic” si muove dalle considerazioni del Primo ministro che, facendosi portavoce del sentire del popolo, ritiene che gli intellettuali si sentano superiori agli altri, con i loro paroloni e tutti quei libri letti, e che la complessità che vanno sbandieranno deve essere abolita, con precise leggi di semplificazione. In poche parole, il professor Prospero, il primo intellettuale a venire ucciso, un po’ se l’è cercata.
In un documento in cui si riassumeva per punti le ragioni in base alle quali gli intellettuali costituiscono un pericolo per la democrazia, si legge che la complessità impedisce la verità, umilia il popolo, è noiosa, quindi inutile, è superba, quindi odiosa, è confusa, quindi dannosa, è elitaria, ergo antidemocratica (ho fatto un enorme sforzo per non usare il punto e virgola, ma temevo l’arrivo del Funzionario Redattore Ugo Nucci incaricato dall’Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana).
Per curiosità ho cercato l’etimologia della parola “complesso” e ho scoperto che deriva dal verbo latino complector, che vuol dire cingere, tenere avvinto strettamente, e, in senso metaforico, abbracciare, comprendere, unire tutto in sé. Il senso metaforico l’ho trovato davvero illuminante. Ecco cosa abbiamo smesso di fare: abbracciare, cingere e quindi comprendere. Abbiamo smesso di comprendere l’altro, il diverso, di accettarlo, di unirlo a noi; in compenso ci crediamo migliori, più qualificati, con il solo risultato di isolarci sempre di più. Ma anche in questo caso, Giacomo Papi ci ha dato qualcosa a cui aggrapparci:
“Ci ho pensato molto, sai. Non è vero che gli intellettuali non servono a niente.”
“Ah no? E a che cosa servirebbero?”
“A sentirsi meno soli.”
Olivia sollevò le sopracciglia, perplessa.
“Che cosa c’entra la solitudine?”
Cesare le strinse piano l’avambraccio e si mossero.
“Le cose dentro i libri dimostrano che le cose dentro le persone si assomigliano.”
Questa frase, pronunciata da Cesare, mi ha davvero toccata, e subito dopo ne ho evidenziata un’altra: “La cultura è una scommessa sul fatto che alla fine ci si possa capire. Per questo può dare fastidio”. Abbiamo smesso di capirci, abbiamo smesso di usare lo stesso linguaggio. Per questo ci sono sempre meno ponti, per questo si alzano i muri. Da cosa dovremmo ripartire?
Il padre di Olivia le aveva insegnato che “per capire è necessario tentare di vedere il mondo con gli occhi degli altri”. Sembra uno sforzo enorme, probabilmente perché lo è, ma se non ci proviamo non sapremo mai quali risultati potremo ottenere. “L’ignoranza non è più soltanto una condizione, oggi è anche una scelta”, scrive ancora Papi e quello che dovremmo fare, secondo me, è allargare il concetto di ignoranza, renderci conto per davvero di ciò che non sappiamo e cosa conta conoscere in questo nostro oggi.
Socrate, dichiarandosi fino alla fine ignorante, aveva assorbito il monito “Conosci te stesso” per poi non fare altro che starsene in giro a chiacchierare, con buona pace di sua moglie Santippe, a dimostrazione di quanto il legame con gli altri fosse imprescindibile per identificarsi. E sebbene l’autore usi Heidegger come strumento di tortura – io ne porto ancora i segni sulla pelle – sono certa che non sia stato citato a caso dato che il suo esserci è teorizzato solo in relazione agli altri.
Ma adesso basta con tutta questa serietà e questa spocchia! Soprattutto perché “Il censimento dei radical chic” è un libro anche molto divertente. Le prese in giro non mancano, ed è facile, facilissimo, capire a chi sono rivolte, a quali personaggi o a quali fatti di cronaca si fa riferimento, senza dimenticare alcune storture tipiche del nostro tempo.
Vi lascio di seguito uno stralcio che ho adorato:
“Faranno delle ispezioni, credo. Ci contatteranno dal ministero per fissare un appuntamento, poi verranno a controllare i libri che abbiamo in casa, cose così…”
“Come i libri? Tutti?”
“Ma no! Non tutti. Immagino che ci saranno dei punteggi!”
“Volevo ben dire: non è che se leggi Fabio Volo ti danno la scorta, mi auguro…”
“Devi avere in casa almeno L’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari…”
“O, in alternativa, un paio di metri di Adelphi color pastello.” Risero.
Che dirvi? Vi consiglio davvero questo romanzo perché apre gli occhi e getta un’ancora di salvezza. Quello di cui abbiamo più bisogno in questo momento così sgangherato. Ma sgangherato si può ancora dire?
un libricino che fa davvero pensare!
Anche a me è piaciuto tantissimo!
impressionante l’aderenza di questo “fantaromanzo” (si può dire??) con l’attuale situazione del nostro Paese….meditate, gente, meditate……
Impressionante davvero!
Leggendo puoi fare la singolare esperienza per cui, mentre ridi, ti viene contemporaneamente la pelle d’oca
Verissimo!