“Mio caro serial killer” di Alicia Giménez-Bartlett: ritrovare Petra è sempre bello
Alicia Giménez-Bartlett è un’autrice che conosco bene e che so già che non mi riserverà sorprese. Anche “Mio caro serial killer” (Sellerio) è stata una lettura piacevole e scorrevole, un giallo di grande umanità.
TRAMA – L’ispettrice Petra Delicado di Barcellona è un po’ giù, sente che gli anni le sono piombati addosso tutti insieme. Un nuovo caso la scuote, un delitto «mostruoso e miserabile» che la rimescola dentro in quanto donna. Una signora sola, mai sposata, con un piccolo lavoro e una piccola vita, è stata trovata accoltellata. L’assassino si è accanito su di lei e ha poggiato sul corpo martoriato un messaggio di passione. L’indagine mette in luce che in quella esistenza era entrato l’amore, quello che illude e sconvolge una «zitella», come ripetono i maschi facendo imbestialire Petra. Tutto parla di femminicidio. Inizia con l’inseparabile vice Fermín Garzón il tran tran da segugi di strada che annusano il sospetto, un uomo insignificante che non lascia tracce. Però il rituale di sangue e lettere d’amore si ripete uguale ai danni di altre vittime. Si stende l’ombra preoccupante del serial killer e, anche per compiacere la stampa, alla coppia viene aggiunto, con funzione direttiva, un ispettore della Polizia autonoma della Catalogna, un giovane dal piglio moderno, rigido e pedante. Tutto l’opposto della collaudata coppia di sbirri, abituati a farsi sorprendere dalle intuizioni, ad attardarsi tra birrette e tapas insaporite dal continuo battibecco. Così l’indagine prosegue nella tensione tra due generazioni e due modi opposti di investigazione e di vita. E forse questo allude metaforicamente allo scontro attuale tra i due patriottismi iberici. E porta dentro un bizzarro mondo metropolitano, le agenzie per cuori solitari. Nulla di straordinario per Petra che finisce sempre coll’immergersi dentro i misteri di una quotidianità piena di risvolti oscuri. Ma stavolta per sciogliere un’intricata matassa di colpevoli che sembrano vittime e vittime colpevoli Petra e Fermín devono affidarsi a un’indagine logica, quasi da detective deduttivi non da piedipiatti; e soprattutto la dura ma empatica poliziotta deve affrontare un assassino disumano. «L’essere umano può essere rabbioso e crudele, ma se non è psicopatico non arriva a tanto». E, forse a causa dello stress, forse per l’amarezza della verità, la commedia tra lei e Fermín corre più veloce del solito.
Il primo libro di Alicia Giménez-Bartlett con protagonista Petra Delicado è “Riti di morte“, pubblicato da Sellerio nel 2002. Sono passati 16 anni da quando ho conosciuto la poliziotta spagnola e la sua autrice e da allora molte cose sono cambiate, mentre altre sono rimaste le stesse.
Certezze in cui trovare conforto. Esattamente come il mio amato Fermín, accanto a Petra sin dal primo momento, al suo fianco anche in “Mio caro serial killer“. La dinamica tra i due è senza dubbio uno dei punti forti della narrazione: i loro dialoghi, i loro battibecchi, l’umorismo e il senso di protezione dell’anziano viceispettore, il modo in cui uno conosce l’altra, danno brio e movimento ai romanzi.
I gialli, si sa, non hanno la tensione tipica del thriller e si muovono su un binario che molto spesso è piatto: indagini, referti, interrogatori, nuovi referti, altre analisi, ancora interrogatori. I colpi di scena arrivano solo sul finale e non sono di quelli che fanno cadere la mascella. La risoluzione arriva in modo graduale e il lettore partecipa pienamente, molto spesso facendosi un’idea di chi sia il colpevole. La dinamica tra Petra e Fermín rende l’intrigo poliziesco più movimentato ed è anche un espediente usato dall’autrice per riflettere sui temi che affiorano in ogni nuovo caso.
Ma in “Mio caro serial killer” il duo a cui siamo abituati diventa un trio. Roberto Fraile, ispettore della polizia autonoma, viene messo a capo delle indagini e all’inizio Petra non la prende benissimo: “Dicono che noi donne siamo meno ambiziose degli uomini, più accomodanti, ma non è vero, e io ne sono la dimostrazione. Sono una donna, questa è forse una delle poche certezze che ancora mi rimangono, e l’idea di dover obbedire a Roberto Fraile mi seccava incredibilmente”.
Roberto è molto diverso dai nostri protagonisti: non si concede mai pause, lavora alacremente, si muove su più fronti senza mai fare una piega. Petra e Fermín non comprendono la sua freddezza, mentre Roberto ritiene inappropriate le loro colazioni, i loro pranzi al locale e non davanti al computer, le loro birre per schiarirsi le idee sul caso, e men che meno il loro modo di comunicare, di prendersi in giro, di punzecchiarsi. Nel corso del romanzo conosceremo meglio Roberto e la sua storia si intreccerà in modo molto personale – e a tratti anche commovente – con il caso che stanno affrontando e che li tiene svegli la notte. Tra i tre si instaurerà un bellissimo legame, anche se non sembra essere destinato a durare. Del resto, “ciascuno è fatto a modo suo. Le esperienze condivise servono per conoscere gli altri, non per cambiare”.
Per quanto riguarda il caso, invece, si parlerà molto di solitudine. È possibile essere completamente soli in una città piena di vita come Barcellona? Altroché. È possibile vivere del tutto privi di legami? Probabilmente no. “Il bisogno d’amore può essere un’immensa ragnatela pronta a catturare gli incauti che, incantati da un’illusione di felicità, si lasciano intrappolare”, pensa Petra. Incaute sono state anche le donne che sono state uccise? Brutalmente sfregiate per renderle irriconoscibili, sui loro corpi sono state lasciate delle lettere che sembrano di un amante respinto. Femminicidio? Sentimenti non corrisposti? Cosa c’è alla base di queste atroci morti? Le indagini porteranno alla luce altre vite fatte di solitudini, ma non solo (e non fatemi dire altro che è pur sempre un giallo!).
Questo bisogno di amore, diventa per la Bartlett un nuovo spunto per tornare su un tema a lei assai caro, ovvero la differenza di genere: “È evidente che ogni biografia femminile viene considerata vuota se non annovera vicende amorose. Una poveretta può aver trovato una soluzione per il cambiamento del clima o aver composto opere più grandiose di quelle di Wagner, ma se non ha ispirato l’amore nel cuore di un uomo, fosse anche il più nefasto dei tipacci, la sua esistenza non vale un bel niente”, pensa Petra.
La sua protagonista rifletterà molto in “Mio caro serial killer” sul suo essere donna e a un certo punto del caso le verrà quasi rinfacciato, mandandola su tutte le furie. In questo romanzo Petra sembra far fatica a trovare un equilibrio, si interroga su come la vedono gli altri e su come invece lei si percepisce. Sin dalla prima pagina, ci mostra le sue preoccupazioni:
Ero appena uscita dalla doccia e stavo per pettinarmi quando di colpo mi vidi davanti una cinquantenne che mi osservava con diffidenza. Quella poveraccia aveva i capelli crespi, la pelle cascante e la faccia di chi ha visto il diavolo in persona. Ero io, sempre io, ma a un’età che non era la mia.
La poliziotta torna spesso nel libro a parlare di “anni sulle spalle”, di pre-pensionamento, di voler mollare tutto. Petra in “Mio caro serial killer” è stanca, quasi demoralizzata e l’atrocità dei delitti per i quali deve trovare un colpevole (o magari più di uno…) le pesa come un macigno sul cuore.
Petra, è inutile dirti che non puoi mollare. Assolutamente no. Ci vogliono almeno altri sedici anni come quelli appena trascorsi…
Ciao e complimenti davvero per la recensione. Sono un grande appassionato da Alicia/Petra, ho letto tutta la serie… devo dire che la tua “lettura” dello stile e dei punti salienti è molto azzeccata e acuta. Grazie mille e alla prossima! Ciao Nicola