“La famiglia Aubrey” di Rebecca West: personaggi indimenticabili che hanno ancora tanto da raccontare

Per chi ama i classici, le saghe di famiglia e immergersi in un’atmosfera quasi senza tempo, “La famiglia Aubrey” di Rebecca West (Fazi) è un romanzo da non perdere.

TRAMA – Gli Aubrey sono una famiglia fuori dal comune, nella Londra di fine Ottocento. Nelle stanze della loro casa coloniale, fra un dialogo impegnato e una discussione accanita su un pentagramma, in sottofondo riecheggiano continuamente le note di un pianoforte; prima dell’ora del tè accanto al fuoco si fanno le scale e gli arpeggi, e a tavola non si legge, a meno che non sia un pezzo di papà appena pubblicato. Le preoccupazioni finanziarie sono all’ordine del giorno e a scuola i bambini sono sempre i più trasandati; d’altronde, anche la madre Clare, talentuosa pianista, non è mai ordinata e ben vestita come le altre mamme, e il padre Piers, quando non sta scrivendo in maniera febbrile nel suo studio, è impegnato a giocarsi il mobilio all’insaputa di tutti. Eppure, in quelle stanze aleggia un grande spirito, una strana allegria, l’umorismo costante di una famiglia unita, di persone capaci di trasformare il lavaggio dei capelli in un rito festoso e di trascorrere «un Natale particolarmente splendido, anche se noi eravamo particolarmente poveri». È una casa quasi tutta di donne, quella degli Aubrey: la figlia maggiore, Cordelia, tragicamente priva di talento quanto colma di velleità, le due gemelle Mary e Rose, due piccoli prodigi del piano, dotate di uno sguardo sagace più maturo della loro età, e il più giovane, Richard Quin, unico maschio coccolatissimo, che ancora non si sa «quale strumento sarà». E poi c’è l’amatissima cugina Rosamund, che in casa Aubrey trova rifugio. Tra musica, politica, sogni realizzati e sogni infranti, in questo primo volume della trilogia degli Aubrey, nell’arco di un decennio ognuno dei figli inizierà a intraprendere la propria strada, e così faranno, a modo loro, anche i genitori. Personaggi indimenticabili, un senso dell’umorismo pungente e un impareggiabile talento per la narrazione rendono La famiglia Aubrey un grande capolavoro da riscoprire.

Parto subito da una considerazione: “La famiglia Aubrey” non è un romanzo per tutti. Non dico che la scrittura non sia accessibile, anche se durante la narrazione ci sono riferimenti letterari e filosofici che potrebbero non essere alla portata di molti, ma è un libro che ha la struttura tipica dei classici, a cui tanti non riescono ad approcciarsi, e una mole che tende a scoraggiare (570 pagine ed è il primo di una trilogia!).

Il ritmo è lento, cadenzato, gli eventi scorrono nelle pagine densi di particolari e si prende il té davvero un sacco di volte, ma per me che amo questo genere di romanzi è sempre un piacere immergermi in atmosfere e dinamiche così lontane da noi, e in una scrittura così raffinata che ti fa davvero perdere il contatto con la realtà che ti circonda.

Dopo la premessa d’obbilgo, passiamo ai personaggi de “La famiglia Aubrey”. A parlare è Rose, che racconta i fatti ricordandoli da adulta, anche se non viene specificato in quale contesto si trovi o che età abbia. Rose è una ragazzina incredibilmente sveglia, che non fa che citare Shakespeare (e ovviamente questo è il primo momento di depressione perché ti fermi a pensare a quali siano i modelli per i bambini di oggi), in grado di capire le persone e le situazioni meglio degli adulti.

Eravamo ancora piccole, ma già furbe come volpi. Dovevamo esserlo. Dovevamo essere in grado di fiutare il vento e capire da quale parte sarebbe giunta la prossima sventura e prendere le nostre precauzioni, che spesso non erano esattamente del genere che i nostri genitori avrebbero approvato.

La famiglia Aubrey” si è dovuta spostare spesso negli anni a causa del padre, incapace di tenersi a lungo un lavoro e di sostentare la famiglia – su di lui torno dopo – e i bambini hanno sviluppato sin da subito un forte instinto di autoconservazione, avendo già chiaro quale dovrà essere il loro futuro. La madre per poco non è diventata una pianista famosa e Rose e Mary sono convinte che con il loro talento avranno successo e potranno provvedere agli altri.

Esperte in delusioni, ciniche rispetto ai nuovi inizi, non hanno per questo smesso di sognare a occhi aperti, di dedicarsi alla musica con dedizione, di amare i loro genitori in modo incondizionato, di prendersi cura degli altri, anche di quelli che per primi li hanno derisi. Indigenti, ma eccentrici. Una combinazione che per i bambini significherà un’infanzia straordinaria, perché diversa da quella dei loro coetanei, tranne per Cordelia, la più grande, da sempre infelice tra i membri dalla sua famiglia, forse perché l’unica senza talento musicale, a dispetto di quanto un’insegnante le faccia credere.

Cordelia avrebbe potuto rappresentare un problema. Tutti gli insegnanti la amavano, e questo era di cattivo auspicio. Non che Mary e io non amassimo la scuola, ma sapevamo che era il contrario del mondo esterno. Era l’errore più grande degli adulti, poiché immaginavano di preparare i bambini alla vita chiudendoli in un luogo dove tutto avveniva in maniera differente rispetto a qualsiasi altro luogo.

Avrebbe voluto vivere una vita come quella delle altre ragazze a scuola, Cordelia. “Non è lei essere strana perché odia e la povertà e l’eccentricità”, dice la madre agli altri figli. “Non provate nemmeno a disprezzarla per il suo desiderio di essere normale, di avere delle sicurezze, di gettare via quel che ci distingue dagli altri”.

Nella famiglia Aubrey anche la povertà diventa un modo per distinguersi. Non solo il loro talento per la musica, e il genio del padre nella scrittura, ma anche la loro indigenza, sopportata con stoica dignità anche quando i creditori non fanno che bussare alla porta, è ciò che li connota e li caratterizza.

Non saremmo mai riuscite a lasciarci alle spalle la nostra infanzia se non avessimo coltivato l’arte di ignorare le cose spiacevoli finché non eravamo costrette a prestarvi attenzione.

E le cose spiacevoli arrivano per lo più dal comportamento del padre. “Avevo un padre, e non avevo un padre”, dice Rose, racchiudendo ogni cosa in questa semplice frase. “Papà era coraggioso, era crudele, era disonesto, era gentile”, continua. Un padre che è assente, ma quando c’è fa dimenticare ogni cosa; un padre così pieno di talento da non riuscire a non esserne orgogliosi; un padre che però spesso non ricorda quali siano le sue responsabilità come capo famiglia. (Piccola digressione: non so se avete visto il film “Saving Mr. Banks”, in caso contrario fatelo, ma Rose mi ha ricordato tantissimo la piccola Pamela e il modo che aveva di guardare suo padre).

Era infatuato del denaro, per quanto non gli riuscisse di instaurarci un buon rapporto. Nei suoi confronti si sentiva come può sentirsi un uomo del suo genere con un’amante gitana: lo amava e lo odiava insieme, desiderava ardentemente possederlo e poi lo buttava via, così da sentirsi quasi male dal bisogno che ne aveva.

Il denaro. Una costante fonte di preoccupazione per “La famiglia Aubrey“, una variante con cui i bambini hanno imparato a convivere fin da piccoli e una mancanza che hanno affrontato con un candore e una forza d’animo sorprendente.

Richard Queen disse: “Non importa. Che sia un papà o che sia l’altro finisce comunque che nessuno di noi ha nulla, e questo nulla lo possiamo dividere in quante parti vogliamo, il nulla è divisibile finché si vuole, ce ne sarà sempre una quota per tutti”.

Come sarebbe stata la loro vita senza la musica? Se la loro madre non avesse insistito nel coltivare con disciplina un talento? Forse è stato l’unico modo per sopravvivere, per restare a galla, per vedere la magia anche nelle piccole cose, per trovare un senso, un’armonia, laddove tutto era grigio e informe.

Devi sempre essere convinta che la vita sia straordinaria esattamente come ti viene detto dalla musica.

La famiglia Aubrey” ha anche altri personaggi incredibili, come la piccola Rosamund che al momento rimane ancora avvolta in un alone di mistero, che sono certa sapranno regalare al lettore ancora tanti altri momenti di ironia, di riflessione e di speranza. Non rimane che attendere.

3 pensieri riguardo ““La famiglia Aubrey” di Rebecca West: personaggi indimenticabili che hanno ancora tanto da raccontare

  • 26 Settembre 2019 in 7:09 am
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    Cara Azzurra,
    sono contenta che qualcuno parli di Rebecca West.
    Purtroppo, ho letto “La famiglia Aubrey” nell’edizione precedente (di Mattioli, 371 pagine, postfazione compresa: possibile?), sorprendentemente piena di errori di stampa e, in alcuni casi, di traduzione, ma siccome vedo che il nome della traduttrice è sempre lo stesso, mi terrò la copia edita da Mattioli. In fondo, non si trattava di errori imperdonabili, ma di sviste e inesattezze che non compromettono il piacere della lettura di questo libro.
    Comprato e letto quasi per caso, ma avidamente, ho subito preso anche gli altri due volumi, ma all’inizio del secondo ho abbandonato l’impresa perché ho capito che avrebbe in qualche modo “guastato” l’ottima impressione lasciatami dal primo volume.
    Tu li hai letti tutti? Se sì, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi.
    Ciao
    Francesca

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    • 26 Settembre 2019 in 5:14 am
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      Ciao Francesca, sul sito troverai le mie impressioni sia sul secondo che sul terzo volume, quello che ho amato maggiormente. Mi dispiace che tu non abbia continuato!

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      • 26 Settembre 2019 in 9:33 am
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        Ok, grazie, cercherò. Mi sono imbattuta nel tuo blog… per caso, ma ora ci resto 🙂

        Risposta

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