“Quattro etti d’amore, grazie” di Chiara Gamberale: fare la spesa sognando la vita
“Quattro etti d’amore, grazie” (Mondadori) è un libro divertente ed ironico, ma come ogni Gamberale che si rispetti anche molto riflessivo e toccante.
TRAMA – Quasi ogni giorno Erica e Tea s’incrociano tra gli scaffali di un supermercato. Erica ha un posto in banca, un marito devoto, una madre stralunata, un gruppo di ex compagni di classe su facebook, due figli. Tea è la protagonista della serie tv di culto “Testa o Cuore”, ha un passato complesso, un marito fascinoso e manipolatore. Erica fa la spesa di una madre di famiglia, Tea non va oltre gli yogurt light. Erica osserva il carrello di Tea e sogna: sogna la libertà di una donna bambina, senza responsabilità, la leggerezza di un corpo fantastico, la passione di un amore proibito. Certo non immaginerebbe mai di essere un mito per il suo mito, un ideale per il suo ideale. Invece per Tea lo è: di Erica non conosce nemmeno il nome e l’ha ribattezzata “signora Cunningham”. Nelle sue abitudini coglie la promessa di una pace che a lei pare negata, è convinta sia un punto di riferimento per se stessa e per gli altri, proprio come la madre impeccabile di “Happy Days”. Le due donne, in un continuo gioco di equivoci e di proiezioni, si spiano la spesa, si contemplano a vicenda: ma l’appello all’esistenza dell’altra diventa soprattutto l’occasione per guardare in faccia le proprie scelte e non confonderle con il destino. Che comunque irrompe, strisciante prima, deflagrante poi, nelle case di entrambe. Sotto la lente divertita e sensibile della scrittura di Chiara Gamberale, ecco così le lusinghe del tradimento e del sottile ma fondamentale confine tra fuga e ricerca.
Adoro la Gamberale. Sinceramente la prima cosa che mi colpisce di ogni suo romanzo è il titolo: ogni volta sembra cogliere una mia abitudine, un mio pensiero, comunque un’idea che mi attira e mi lega subito alla storia. “Quattro etti d’amore, grazie” mi ha fatto subito pensare alla continua ricerca di attenzioni e affetti, al disperato bisogno di sentirsi curato e coccolato da qualcuno, tanto da farne una richiesta banale come se si potesse comprare al bancone dei salumi di un qualsiasi supermercato.
E il riferimento alla spesa non è casuale: guardando di nascosto il carrello di una persona si può costruire la sua vita, percepire i suoi pensieri, inventare le sue abitudini. Questo è quello che mi capita sempre quando giro per un supermercato e questo è quello che succede anche alle due protagoniste del romanzo.
Due donne a confronto, apparentemente agli antipodi per scelte di vita, di amore, di prospettive, eppure entrambe sono incuriosite una dell’altra, di cui non conoscono nulla, se non quello che possono intuire da un fugace incrociarsi fra gli scaffali del negozio.
Da una parte conosciamo Erica che incarna la figura femminile più socialmente accettata: moglie, madre e lavoratrice, deve pensare alla gestione della famiglia, della casa, perdendo un po’ se stessa, tanto da sentirsi “sottovuoto”, come se la sua testa fosse imprigionata dentro ad un palloncino e viva in modo ovattato.
La vita che faccio, non mi sembra la mia. Anzi no: mi sembra la mia. Dio mio, certo che è la mia. Ma senza di me. E il brutto è che a guardarla così mi appare facile, persino bella, la mia vita senza di me. Dunque il problema forse sono io.
Erica sembra lasciarsi appiattire dalla routine quotidiana, non trovando più conforto nella presenza ingombrante di una famiglia tanto desiderata e sognando una vita più esotica e spensierata, cerca così rifugio nei ricordi delle superiori e nella chat dei suoi ex compagni di scuola.
Dall’altra parte abbiamo Tea, sposata con un uomo-Peter Pan da cui non riesce ad allontanarsi nonostante le ovvie difficoltà di coppia, legata ad un amante italo-americano che la fa sentire speciale ma a cui non sa o non vuole dare nulla di più, attrice, cleptomane, bella, elegante. Rappresenta ciò che tutte le donne vorrebbero essere, mentre invece lei sogna una vita serena e più “banale”. E la sogna sbirciando proprio il carrello di Erica, guardando come lei si comporta con i suoi figli.
Che ti devo dire? Ci dimentichiamo di vivere ma poi, ecco: ecco qualcuno che ci ricorda come si fa. Capita a tutti, no? E a me è capitato con lei. Non immagini che spesa ha fatto oggi. La farina 1, per dire: lo sapevi che esiste?
E intorno alle due protagoniste, un bel ventaglio di personaggi ben caratterizzati, alcuni molto pittoreschi, prima fra tutti la madre di Erica, signora eccentrica e bizzarra al limite del verosimile, che si contrappone in tutto con la vita ed il carattere della figlia.
Tanta ironia, ma anche tanta riflessione. Sì perché la Gamberale riesce sempre a raccontare con fare molto naturale fatti che possono succedere a tutti, emozioni che possono essere provate da tutti. Le paure, le delusioni dei suoi personaggi noi le conosciamo bene.
Tutti credono di essere diversi, un istante prima di diventare identici agli altri.
Questa identità ci fa sentire dentro al racconto, solidale con i personaggi che impariamo a conoscere pagina dopo pagina, spesa dopo spesa.
Le riflessioni della Gamberale spesso mettono anche in difficoltà. Ti lasciano delle domande aperte che rimangono a ronzare in testa alla ricerca di una risposta che non sempre arriva.
Ma tu ci pensi? A tutte le esperienze che potrebbero farci felici, se non fossimo sempre alle prese con la nostra?
Già… voi ci pensate?