“L’inconfondibile tristezza della torta al limone” di Aimee Bender: un romanzo sorprendente
Pochi libri mi hanno lasciato un senso di inquietudine profonda come “L’inconfondibile tristezza della torta al limone” di Aimee Bender (Minimum Fax).
TRAMA – Alla vigilia del suo nono compleanno, la timida Rose Edelstein scopre improvvisamente di avere uno strano dono: ogni volta che mangia qualcosa, il sapore che sente è quello delle emozioni provate da chi l’ha preparato, mentre lo preparava. I dolci della pasticceria dietro casa hanno un retrogusto di rabbia, il cibo della mensa scolastica sa di noia e frustrazione; ma il peggio è che le torte preparate da sua madre, una donna allegra ed energica, acquistano prima un terrificante sapore di angoscia e disperazione, e poi di senso di colpa. Rose si troverà così costretta a confrontarsi con la vita segreta della sua famiglia apparentemente normale, e con il passare degli anni scoprirà che anche il padre e il fratello – e forse, in fondo, ciascuno di noi – hanno doni misteriosi con cui affrontare il mondo.
È davvero difficilissimo parlarvi de “L’inconfondibile tristezza della torta al limone“, un romanzo che di certo avevo sottovalutato. La trama e la copertina mi avevano tratto in inganno, pensavo di trovarmi davanti a un libro divertente, ironico, ma non è stato così. Non solo delusa, sono solo sorpresa.
Rose racconta la sua infanzia, a partire da quel pomeriggio in cui mangia una fetta di torta, assoporando allo stesso tempo sia gli ingredienti di cui è composta, che i sentimenti della madre che l’aveva preparata, con una estrema chiarezza. Nelle descrizioni di Aimee Bender è come se tutto fosse amplificato: viene catturato dal minimo spostamento d’aria al più impercettibile cambio di espressione facciale di uno dei protagonisti.
È molto interessante come ogni sfumatura venga colta, un gesto o uno sguardo sfuggente, un lampo di emozione, il barlume di un nuovo sentimento. Non vi so spiegare la sensazione che ho avuto leggendo queste pagine, mi viene solo da dire che è stato come quando finalmente pulisci gli occhiali da vista e torni a vedere in modo limpido.
Le emozioni sono il perno della narrazione, sia quelle percepite che quelle “assaggiate”. C’è una scena, fortissima, nella quale Rose maledirà questa sua capacità, un momento straziante in cui, in lacrime, chiederà alla madre di “toglierle la bocca”. Come si fa a sopportare il vuoto di tua madre quando hai solo 9 anni? La sua preoccupazione, il suo malessere, i suoi pensieri?
Odiavo quella situazione: era come leggere il suo diario, contro la mia volontà. Molti bambini, a quanto pareva, ci mettevano anni e anni a rendersi conto che i loro genitori erano persone piene di difetti e scombinate, e a me proprio non andava di arrivare a saperlo in modo così intenso, e così precocemente.
Rose dovrà tenere per sé questa sua capacità. Sua madre non la capisce, suo fratello ha altro per la testa, suo padre raramente fa il genitore e le amiche pensano a tutt’altro. Solo George, un amico del fratello, per brevi momenti, la prenderà per mano. Troppo pochi, per sentirsi al sicuro.
Per tutto il periodo della pre-adolescenza, la sua migliore amica sarà Eliza. Ci sono momenti in cui Rose invidia le bocche degli altri, quei momenti in cui ringrazia i prodotti confezionati dei distributori automatici; ma ci sono anche passaggi in cui la gelosia per la sua amica sarà totale. Nei sandwich che la madre di Eliza prepara c’è qualcosa che Rose non ha mai assaggiato a casa sua. Una gelosia che diventa quasi incomprensione quando l’amica le racconta come passa il tempo in famiglia. “Diceva anche che si divertivano”, racconta, quasi come se non fosse possibile una cosa del genere.
In alcuni passaggi, la tristezza di Rose è quasi disarmante. Una tristezza mista a paura, mista a voglia di “normalità”. Crescendo Rose dovrà scendere a patti con questo suo “dono”, come lo chiama George, e soprattutto si renderà conto che nella sua famiglia non c’è nulla di “normale”. Alcune pagine, in cui viene descritto il rapporto con suo fratello, sono davvero toccanti.
“L’inconfondibile tristezza della torta al limone” mi ha fatto vivere in prima persona le emozioni di Rose, nonostante io non possa minimamente capire come si possa essere sentita. Alla fine, quando è una giovane donna ancora piena di domande, si apre un piccolo spiraglio che mi ha sollevata.
È stato come se, durante la lettura, fossi stata in reale pena per lei. È stato come se, terminato il libro, fossi scesa dalle montagne russe. Tramortita, ma piena di vita.