“Emilia l’elefante” di Arto Paasilinna: aspettative deluse
Devo ammettere che ho avuto qualche difficoltà con “Emilia l’elefante” di Arto Paasilinna (Iperborea): probabilmente avevo delle aspettative che non hanno coinciso con quello che ho trovato nel libro e la lettura non è stata molto scorrevole. Anzi, a dirla tutta, dopo 150 pagine non ho trovato nessun motivo per andare avanti…
TRAMA – Corre l’anno 1986 quando al Circo Finlandia, a Kerava, nasce una stella, che a sei mesi sventola già fiera con la proboscide la bandierina finlandese e in pochi anni conquista il Circo di Mosca e parte in tournée sulla Transiberiana, allietando i passeggeri con la danza dei cosacchi. Ma l’Unione Sovietica è ormai al collasso, il circo al tramonto, e l’Europa si mette pure a vietare ogni esibizione di animali esotici, per quanto dotati di ben più talento di tanti umani commedianti. All’intrepida padroncina Lucia Lucander non resta che salire in groppa alla pachidermica compagna di mille ribalte e lanciarsi nel circo del mondo per riportare Emilia tra i suoi simili. Comincia così la loro acrobatica odissea dalle piane del Satakunta alle foreste del Pirkanmaa, dalla regione dei laghi alla Carelia e poi alla volta del Sudafrica, in fuga da eco-complottisti e macellai megalomani, con l’aiuto di un pompiere, un gestore di minimarket e un latifondista in pene d’amore, sotto la benedizione di un prete maniaco-suicida e di un industriale fallito intento a costruirsi un sommergibile per farne un museo sottomarino. La fantasia e il naturismo politicamente scorretto di Paasilinna si scatenano nelle più esilaranti avventure in questo barocco safari afro-finnico, che con il paradosso mette in scena la commedia umana, nella spensierata consapevolezza che se il mondo è pazzo, tanto vale fare di necessità risorsa e godersi a fondo le proprie follie.
Per prima cosa, mi è mancata la descrizione degli ambienti. Mi affascinava questo viaggio di Lucia in groppa all’elefante Emilia ma l’autore ha pensato bene di non inserire nessuna ambientazione. Purtroppo, se il lettore non è finlandese, certi posti rimangono solo dei nomi difficili da pronunciare ed è un vero peccato. Uno dei motivi per cui avevo scelto il libro era proprio immergermi in una realtà molto lontana da quella a cui sono abituata, mi sarebbe piaciuto perdermi in panorami mozzafiato, ma così non è stato.
L’autore si è concentrato più sulle persone che sul contesto, solo che anche in questo caso è stato – a mio avviso – troppo superficiale. Di Lucia, l’artista del circo che ha deciso di intraprendere questo viaggio per salvare Emilia l’elefante dopo che ne è stato proibito l’uso per spettacoli, si sa poco e niente. Non sappiamo se rimpiange la vita del circo, cosa porta nel cuore, qual è il suo passato. “Passarono a scambiarsi confidenze sui fatti salienti della loro infanzia e giovinezza. E ce n’erano quante se ne voleva”: peccato che il lettore non venga mai coinvolto. In più di un’occasione, quando Emilia è stata male o è stata attaccata, Lucia l’ha coccolata “pronunciandole parole dolcissime”: anche qui, il lettore viene escluso.
Accanto a Lucia ci sono altri personaggi che si adoperano per il bene di Emilia. In ogni capitolo viene narrato un particolare episodio ma è come se i personaggi coinvolti fossero utilizzati solo per un mero scopo riempitivo. Di “esilaranti avventure” non ne ho trovate, mi è sembrato divertente solo il momento in cui Emilia si ubriaca mangiandosi in un pomeriggio un quintale di mele. Per il resto, solo una sequela di personaggi strambi che, invece di strappare un sorriso, vengono dimenticati al capitolo successivo.
Le pagine più belle sono state quelle dell’epilogo: l’autore dice di essere andato alla ricerca di Emilia al Parco nazionale di Addo, a una cinquantina di chilometri da Port Elizabeth. Lì l’ha riconosciuta subito e lei ha dato spettacolo. Peccato che a questo posto incredibile vengano dedicate così poche pagine.