“La metà che ho lasciato” di Monica Carrillo: un poetico inno alla vita
“La metà che ho lasciato” di Monica Carrillo (Editrice Nord) mi ha colta impreparata. Non conoscevo l’autrice e non mi sarei mai immaginata una scrittura così poetica e densa. Non è un romanzo come ce ne sono tanti in giro. I capitoli che lo compongono sono brevi, quasi dei flash, terminano con dei versi poetici, alcune volte solo con delle terzine, altre con dei veri e propri componimenti. Perché forse è vero che per descrivere il dolore di un amore assente, lo strazio di un cuore che va a pezzi, le emozioni più profonde, non c’è nulla di più adatto della poesia.
TRAMA – Un attimo di distrazione, una frenata brusca, poi il buio. Malena non sa cosa sia successo, però è consapevole che quell’incidente potrebbe far calare il sipario sulla sua breve esistenza. In bilico sull’orlo dell’abisso, Malena ripensa alle scelte che l’hanno condotta fin lì, agli amici che l’hanno sorretta o delusa durante il cammino, e a Mario, la persona che più di tutte ha forgiato il suo destino. Perché Mario era il suo mondo, mentre lui la considerava solo un’avventura. Malena si era illusa che, col tempo, lui sarebbe cambiato. Ma, ora che il suo tempo forse sta per finire, Malena ricorda i messaggi senza risposta, le parole non dette, i baci negati, i gesti scostanti e i lunghi silenzi. E si rende conto che, per seguire lui, stava sacrificando la sua vita. È quindi arrivato il momento di voltare pagina, di affrontare la verità con coraggio, d’imparare ad amare senza paura e senza rimpianti, soprattutto se stessa. Se il destino vorrà darle una seconda occasione, Malena sarà pronta ad assaporare fino in fondo ogni gioia che il futuro avrà da offrire…
È stata una lettura di pancia quella de “La metà che ho lasciato“, un romanzo che mi ha imbrigliata nella sua rete di parole, mai scritte a caso, mai lasciate scorrere senza una destinazione. Dalla sua auto, poi dal suo letto di ospedale, o forse solo dalla sua mente, in questo viaggio onirico e allo stesso tempo cosciente, Malena ci fa entrare nella sua vita, ci mette a parte delle sue scelte, ci fa incontrare le persone che hanno avuto un peso nella sua esistenza. L’unico su cui si sofferma a lungo è Mario, l’uomo che le ha strappato una parte di sé riempiendola di bugie, mentre lei gli donava tutto.
Il suo è un amore distorto, una ossessione, la smania di far quadrare un cerchio anche quando si tratta di sentimenti, una ricerca continua di certezze che non arrivano. “E, a dirla tutta, Mario, non hai mai ingannato nessuno, perché sei sempre stato una menzogna”. Anche quando si rendeva conto che erano tutte bugie, Malena non riusciva a divincolarsi da quella trappola. Si ripeteva che forse avrebbe potuto amarlo “di più, meglio”, eppure non era mai abbastanza. Le giustificazioni mettevano lui su un piedistallo e lei ai suoi piedi.
“Io, mai alla sua altezza. Lui, sempre insufficiente. Incapace di rendermi felice, per quanto mi ostinassi a credere il contrario”. Malena si renderà conto che era stata lei a creare Mario, a dargli forma, mentre lui era tutt’altro. Quella visione distorta era soltanto colpa sua, eppure era troppo facile finire di nuovo risucchiati in una spirale di autolesionismo mascherato da amore.
Ci sono pagine e pagine in cui Malena si mette a nudo agli occhi del lettore, si lascia andare ai rimpianti e non lesina le ricriminazioni. Adesso però, non c’è più tempo per tutte queste considerazioni. Quello che Malena ci dice, in fondo, è che la vita è una sola e che ogni momento che viviamo è irripetibile. All’inizio del romanzo c’è una riflessione che mi ha colpito particolarmente. Ogni giorno siamo circondati da binomi: alto/basso, caldo/freddo, triste/allegro, ma quasi mai prendiamo realmente in considerazione quello di vita/morte.
Siamo abituati a pensare alla morte solo in relazione alle cose negative, non come stimolo (o monito, fate voi) per vivere al meglio la nostra vita. La società reputa la morte un tabù eppure è l’unica “questione che ci accompagna per tutta la vita”, commenta il saggio Ismael. Malena ci invita a riflettere sul fatto che alla fine di ogni giorno dovremmo chiederci se l’abbiamo vissuto nel modo giusto, sfruttando ogni istante che ci è stato donato, anche perché arriverà un momento in cui sarà troppo tardi per i rimpianti.
L’autrice è stata molto brava a intercalare la narrazione con dei capitoli in cui a parlare è Mia, il cane di Malena. Irriverente nelle sue considerazioni sugli umani, forse un tantino forzate ma sicuramente volute, i suoi racconti, i suoi ricordi, allegeriscono la tensione narrativa e mostrano la protagonista nelle sue varie sfaccettature. Generosa, fragile, emotiva, ironica. Umana.
“La metà che ho lasciato” è davvero un piccolo gioiello, Monica Carrillo ha una scrittura indimenticabile. Forse non è un romanzo che potrebbe piacere a tutti, ma sono certa che quelle parole, una volta lette, faranno presa nel cuore di molti.