“Il club dei filosofi dilettanti” di Alexander McCall Smith: un giallo intriso di etica e di morale
“Il club dei filosofi dilettanti” di Alexander McCall Smith (Tea) è stata una lettura molto piacevole, specie perché, per mia somma gioia, unisce il giallo alla filosofia. Non è un romanzo al cardiopalma, cercando un aggettivo per descrivere l’andamento della trama mi viene in mente “pacato”, esattamente come la protagonista, e al tempo stesso è denso di domande e considerazioni che lasciano il segno e impongono una riflessione.
TRAMA – Durante una prima all’opera al teatro di Edimburgo, il giovane manager Mark Fraser muore cadendo in platea dalla balconata: sembra una morte assolutamente accidentale, ma a Isabel Dalhousie, donna single di gusto e di cultura, fondatrice del Club dei filosofi dilettanti e assidua frequentatrice di mostre e concerti, non tutto pare così semplice. E si sente quasi moralmente obbligata a improvvisarsi detective, seguendo i fili di un’indagine che McCall Smith descrive con prosa lieve e divertita, seguendo gli incontri e le conversazioni della sua curiosa protagonista. Alexander McCall Smith, nato e cresciuto in Africa, è professore di medicina legale presso l’Università di Edimburgo e conosciuto in Italia per la serie di Precious Ramotswe.
Direttrice della “Rivista di etica applicata”, Isabel è una quarantenne avvenente, ricca, amante dell’arte, della musica e della letteratura. Sempre sincera, non fa fatica ad ammettere le sue debolezze: il cruciverba la mattina, il tormento per l’unico uomo che abbia mai amato, la curiosità circa i fatti di cronaca nera.
Una sera, a teatro, finisce per essere direttamente coinvolta in uno di questi: un uomo cade dal loggione e muore. Durante quel volo mortale, i loro sguardi si sono incrociati: “Deve avermi visto. E io l’ho visto, in un momento di estrema vulnerabilità. Mi spiace fare la parte della filosofa, ma credo che ciò abbia creato un legame tra noi due, sul piano morale”, cerca di spiegare a sua nipote Cat. E per questo motivo, prova ad andare fino in fondo a questa morte che non sembra né accidentale, né voluta.
Etica e morale sono concetti molto presenti nel romanzo. Ci sono riferimenti a Kant, a Hume, a Wittgenstein (non sono per niente d’accordo che la filosofia del linguaggio sia “da ripudiare una volta maturi”); continue domande su cosa sia eticamente accettabile, su quali comportamenti bisognerebbe adottare.
In linea generale sono considerazioni che possono arrivare a qualsiasi lettore, perché molti sono interrogativi che ci poniamo nella quotidianità, mentre quando ci sono degli accenni ai filosofi e alle loro teorie (brevi, attenzione, ma comunque presenti) probabilmente è più difficile capire a cosa l’autore stia facendo riferimento, a meno che non si abbia una preparazione in materia. Diciamo che, ad esempio, l’imperativo categorico di Kant viene più volte ripreso e se non siete in rapporti discreti con il filosofo tedesco (sta antipatico anche alla protagonista del libro, comunque), potrebbe risultarvi una lettura poco piacevole.
Sullo sfondo una Edimburgo che si vede poco se non per paragonarla continuamente a Londra o ad altre parti d’Europa, forse con un po’ di puzza sotto il naso. Peccato, mi sarebbe piaciuta averla più presente nel testo, non solo come un elenco di vie e quartieri che per chi non li conosce posso risultare fin troppo estranei.
Isabel mi è piaciuta, me la sono immaginata sempre con la schiena dritta, in perfetto ordine, quasi una donna d’altri tempi. Molto simpatica Grace, la sua governante, mentre la nipote, Cat, mi è parsa piuttosto insignificante. Questo è il primo volume che l’autore dedica a Isabel e ai suoi casi, sono piuttosto curiosa di sapere come questo personaggio evolve e se gli altri romanzi abbiano una tinta di giallo più accesa. E, ovviamente, se Isabel troverà di nuovo l’amore…