“Nobody” di Charlotte Link: un thriller che non mi ha dato nessun brivido
Sarà che sono fatta anziana (e quindi più rompipalle), o sarà che dal genere thriller io da sempre pretendo moltissimo (i grandi maestri mi hanno abituata male), ma “Nobody” di Charlotte Link (Corbaccio) mi ha convinta per metà. Forse anche meno di metà, se devo essere del tutto sincera. Come scrivevo in un’altra recensione, anche qui non ho provato un brivido, non ho avuto la febbrile smania di girare pagina, mi hanno dato fastidio alcune leggerezze che non mi hanno consentito di leggere la storia con passione. Attenzione perché dopo la trama probabilmente mi scapperà qualche spoiler.
TRAMA – A Scarborough, una località di mare dello Yorkshire, viene trovato il corpo di una studentessa brutalmente assassinata. Per mesi la polizia brancola nel buio alla ricerca non solo di un autore, ma anche di un movente. Fino a quando un nuovo omicidio scuote gli abitanti della cittadina. Questa volta la vittima è una donna anziana. Le modalità dell’assassinio, tuttavia, sono le stesse e la poliziotta incaricata delle indagini si convince che il nesso fra gli omicidi sia da ricercare nel passato delle due famiglie. E, con l’aiuto di un diario trovato per caso, si imbatte in una vicenda accaduta più di mezzo secolo prima, quando in paese era arrivato insieme agli sfollati da Londra durante i bombardamenti, un bambino di cinque anni apparentemente orfano, ritardato e che si era subito attaccato a una ragazzina di poco maggiore. Brian era il suo nome: questo era tutto ciò che si sapeva di lui. Da tutti era stato «battezzato» Nobody e da tutti era stato maltrattato per anni, atrocemente. A Scarborough tutti avevano cercato di dimenticare questa brutta storia. Ma ognuno, in cuor suo sapeva che un giorno o l’altro sarebbe saltata fuori…
Comincio con l’aspetto che più mi ha dato fastidio. La storia di Brian, di “Nobody”, ci viene raccontata da Fiona, che, in un documento di Word e in alcune email, ne ripercorre la vicenda, attraverso una sorta di lungo confessionale. Per Fiona, scrivere è l’unico modo per confrontarsi per davvero con i fatti che sono successi, per prendere consapevolezza del peso delle sue azioni e decisioni.
Giusto, ci può stare, mi dico. Quello che subito dopo penso, però, è che l’autrice non può riservare a questo sfogo lo stesso stile di scrittura che usa per tutto il resto del romanzo. Mi sarei aspettata uno stile più asciutto, più diretto, con meno divagazioni storiche o irrilevanti. Una scrittura più vicina al personaggio Fiona, sempre descritto come freddo, distaccato, anaffettivo. È stata la prima cosa che mi ha fatto storcere il naso, l’ho ritenuta un’occasione persa.
Per parlarvi della seconda cosa che mi è sembrata sin da subito una nota stonata devo purtroppo lasciarmi andare a qualche spoiler. Perdonatemi, ma non ne posso fare a meno. Se non volete anticipazioni, non leggete oltre.
L’autrice ha usato una narrazione in terza persona, ma è come se avesse scritto il romanzo usando una telecamera a spalla, seguendo via via questo o quel personaggio. Entriamo quindi quasi a diretto contatto con i protagonisti, impariamo a conoscerli anche attraverso le emozioni. Ovviamente, quella che mi ha colpito più di tutti, sin dall’inizio, è stata Gwen. Non voglio fare la parte dell’ispettore Colombo, né voglio dire che mi aspettavo la svolta del finale, però per tutto il tempo della lettura mi sono chiesta: ma perché non si accendono i riflettori su Gwen? Perché non la seguiamo un po’? Perché gli altri sì e lei no? È così complessa e interessante… Ovviamente l’ho capito solo alla fine e non mi è piaciuto. Avrei preferito che l’autrice si prendesse anche questa responsabilità, per spiazzare ancora di più il lettore. Così è troppo facile. Inevitabilmente viene il sospetto che ci sia, come dire, della polvere nascosta sotto il tappeto.
Ulteriore momento spoiler per dirvi cos’altro non mi è piaciuto: per tutto il libro non si fa che parlare di Brian, anche il libro ha come titolo il soprannome che gli è stato affibiato, e poi mi privi dell’incontro tra lui e Leslie? Mi liquidi con una battuta di lei, che dice che l’ormai anziano Nobody sta ancora aspettando Fiona e basta? No, anche in questo caso non ci sto. Troppo facile così. Cosa ha visto Leslie negli occhi di Brian che tanto avevano tormentato sua nonna? Lui ha provato a toccarle i capelli? Non lo so, è come se avessi atteso a lungo un momento che poi non è arrivato.
Per quanto riguarda il brivido, bhè, non c’è stato. Il romanzo mi è sembrato eccessivamente lungo, in alcune parti proprio noioso, non è riuscito a coinvolgermi. Le descrizioni mi sono parse un po’ banali e sempre le stesse, nemmeno nel crescendo del finale ho avuto un leggero batticuore.
Lo so, sono stata un po’ troppo critica, ma probabilmente lo sono di più quando capisco che è stato sfruttato male un potenziale. Perché l’idea alla base del romanzo lo aveva, eccome. C’è la complessità psicologica dei personaggi – mi è piaciuta molto la scelta di un’ispettrice nevrotica e piena di insucerezze -, le campagne inglesi sono un’ambientazione perfetta per un thriller, così come i sentimenti ancestrali che stanno alla base di alcune azioni tremende. Alcune cose però hanno influito negativamente sul mio giudizio complessivo.
Esagerata? Forse. Purtroppo dopo aver letto “La bambina che amava Tom Gordon” (ben 17 anni fa!) non ho più trovato nulla che mi mettesse ansia in quel modo. Il Re è tornato di moda adesso, ma per me lo è sempre stato.
Ce l’ho sullo scaffale… Intanto però ne sto leggendo un altro (titolo in tedesco “fase Echo der schuld”, in italiano non so). I personaggi sono troppo inverosimili, non li sento reali. Mi innervosiscono, quasi…
In aggiunta non si é saputo nulla riguardo al perché e da chi sia stata uccisa la ragazza, Amy Mills. Sono d’accordo in toto con chi ha fatto questo commento.