“Gli innocenti” di Paola Calvetti: una storia d’amore tra musica e segreti
Ho corso tra le pagine del libro “Gli innocenti” di Paola Calvetti (Mondadori) per raggiungere quel particolare momento. Tutto faceva presagire che sarebbe arrivato: la scrittura, la musica, i dialoghi, la storia. L’ho atteso per pagine e pagine.
Non ti avevo raccontato nulla e tu non avevi insistito per sapere, come se fra noi ci fosse il tacito accordo di evitare i luoghi in cui era archiviato il nostro passato. Ma i segreti non respirano sotto il cielo aperto, si nascondono in qualche angolo del nostro cuore e stanno lì, a marcire in silenzio. Poi esplodono senza avvertire e forse ora, mentre seguo la mano del direttore che chiama a noi questa magnifica orchestra, è arrivato il momento di svelare tutto.
A parlare è Dasha, la protagonista femminile del libro. La sua è una semplice riflessione sui segreti (si trova a pagina 107 su un totale di 122 pagine), una semplice riflessione che mentre la leggi capisci subito che precede lo scoppio: quell’impercettibile “bum” che si sente nel petto quando finalmente il peso che porti cade giù.
È proprio quel particolare momento in cui i segreti vengono svelati e si torna a respirare. Perché è quando i segreti vengono svelati che la vita ricomincia a scorrere e le strade da percorrere diventano più chiare. E i protagonisti di questo libro non fanno eccezione. Quando ho letto “è arrivato il momento di svelare tutto”, ho pensato “ecco, ci siamo”.
TRAMA – Jacopo e Dasha, due voci smarrite sullo spartito della vita, sono in scena per il Doppio concerto per violino e violoncello di Brahms che, pagina dopo pagina, è l’occasione per rivivere – in un serrato e immaginifico dialogo – i passi della loro storia d’amore. Dopo una lunga assenza, Jacopo torna a Firenze, all’Istituto degli Innocenti, il luogo eletto che lo ha accolto quando venne abbandonato da una madre rimasta nell’ombra, la cui identità è diventata negli anni la sua claustrofobica ossessione. «Come posso scoprire la mia storia se non so da dove vengo?» si chiede. Adottato da una famiglia troppo fragile e gravato di aspettative insostenibili, Jacopo è stato privato della spensieratezza dell’infanzia. A salvarlo è stato un piccolo violino, l’àncora alla quale assicurare i desideri e i sogni. Perché, se la felicità è un talento, Jacopo riesce ad avvicinarla solo stringendo fra le braccia lo strumento. Ma non sempre l’amore salva. Non se nell’amore pulsano, insistenti, vecchie ferite. Dasha, nata in un piccolo paese in Albania, è cresciuta circondata da un amore che Jacopo non conosce. Grazie a un padre devoto e illuminato, ha potuto frequentare il Conservatorio di Tirana, dove ha incontrato il violoncello, destinato a diventare il suo unico amico. Fuggita dal porto di Durazzo, sola con il suo strumento, dopo la rovinosa caduta del regime, è sbarcata a Brindisi il 7 marzo del 1991, insieme a migliaia di profughi. Anche le sue radici sono state recise, ma la musica ha compiuto il miracolo di preservare dal dolore il suo animo delicato e forte. Eppure nemmeno Dasha, che ora suona di nuovo accanto a lui, è riuscita a distogliere Jacopo dalla ricerca di un passato che ha il potere di avvelenare il presente, rendendo orfani i due amanti di un futuro possibile. Dove ad aspettarli, forse, c’è un bambino. Nel corso dell’esecuzione del Doppio di Brahms accadrà qualcosa di totalmente imprevisto. La musica si fa eco dell’amore e di una sconvolgente rivelazione, cui non può seguire altro se non un silenzio colmo di incanto, lo stesso che resta nel cuore del lettore.
Jacopo e Dasha si rincorrono per pagine e pagine, incapaci di liberarsi del peso del passato che si è accumulato nei segreti. Riga dopo riga, in un serrato dialogo, ripercorrono i passi della loro storia d’amore. Dopo una lunga assenza, Jacopo torna a Firenze, all’Istituto degli Innocenti, il luogo che lo ha accolto quando venne abbandonato da una madre rimasta nell’ombra, la cui identità è diventata negli anni la sua claustrofobica ossessione.
“Come posso scoprire la mia storia se non so da dove vengo?”, si chiede. Adottato da una famiglia troppo fragile e gravato di aspettative insostenibili, Jacopo è stato privato della spensieratezza dell’infanzia. A salvarlo è stato un piccolo violino, l’àncora alla quale assicurare i desideri e i sogni. Perché, se la felicità è un talento, Jacopo riesce ad avvicinarla solo stringendo fra le braccia lo strumento. Ma non sempre l’amore salva. Non se nell’amore pulsano, insistenti, vecchie ferite.
Dasha, nata in un piccolo paese in Albania, è cresciuta circondata da un amore che Jacopo non conosce. Grazie a un padre devoto e illuminato, ha potuto frequentare il Conservatorio di Tirana, dove ha incontrato il violoncello, destinato a diventare il suo unico amico. Fuggita dal porto di Durazzo, sola con il suo strumento, dopo la rovinosa caduta del regime, è sbarcata a Brindisi, insieme a migliaia di profughi. Anche le sue radici sono state recise, ma la musica ha compiuto il miracolo di preservare dal dolore il suo animo delicato e forte.
La musica è protagonista di questo libro tanto quanto Dasha e Jacopo. Plasma le loro anime, salva il loro futuro, costruisce la loro determinazione. “Ci vorrà passione, anzi, un’ossessione, oltre a una ferrea volontà”, aveva esordito il maestro di violino di Jacopo. Ma non valeva solo per il violino, valeva per la vita intera.
Ho corso tra le pagine, dicevo, per arrivare al definitivo svelamento dei segreti, al momento in cui finalmente le anime si mettono a nudo e due persone possono prendersi per mano e percorrere infinitamente la stessa strada. Sapevo che sarebbe successo e, anche se a volte la tensione della scrittura si attenuava e la lettura diventava più faticosa, mi trascinava in avanti il desiderio di sapere che per i due protagoniste una possibilità di vincere esisteva. Niente di insolito, solo l’ottimismo di una donna romantica di fronte a due persone che si amano profondamente come si amano Dasha e Jacopo.