“Volevo solo andare a letto presto” di Chiara Moscardelli: un romanzo divertente ed emozionante, da non perdere!
Vi è mai capitato di pensare a quanto sarebbe divertente avere per amico/a il personaggio di un romanzo? A me ovviamente sì (ok, la lista delle cose strane aumenta, ma ho smesso da un pezzo di preoccuparmi) e non vi nascondo che avere il numero di Agata Trambusti sarebbe troppo divertente. Starei tutto il giorno a mandarle link di notizie di salute, oppure spoiler sulle telenovelas che ama tanto e che sta recuperando dopo un’infanzia senza televisore.
Agata è la protagonista di “Volevo solo andare a letto presto” di Chiara Moscardelli pubblicato da Giunti (che ringrazio per avermi inviato il romanzo): un libro fresco, divertente (davvero molto), emozionante e tutto da scoprire. Assolutamente da non lasciarsi sfuggire!
TRAMA – Ipocondriaca, ossessiva, maniaca del controllo e sfegatata di telenovelas brasiliane: del resto che cosa aspettarsi dopo un’infanzia trascorsa in un borgo hippy, senza tv, con una mamma fissata con la cristalloterapia, un padre non ben identificato e tanti amici che danzano in giro, spesso senza vestiti? È comprensibile che a trentacinque anni Agata Trambusti voglia avere il pieno controllo di ogni aspetto della sua vita e detesti qualsiasi fuoriprogramma. Inclusa la pioggia, e quella mattina si è messo a piovere sul serio, mentre in tailleur e chignon Agata varca il cancello di una villa sull’Appia per valutare alcuni quadri che il proprietario vuole mettere all’asta. Ma la pioggia non è niente rispetto a quello che la aspetta: in meno di un minuto la sua tranquilla esistenza si trasforma in un rocambolesco film d’azione, a partire dall’uomo misterioso – terribilmente somigliante a Christian Bale! – che Agata mette ko con due abili mosse di krav maga prima di darsela a gambe. Ma che cosa sta cercando quell’uomo? E perché le sta improvvisamente alle calcagna? Tra una fuga nei vicoli più sordidi di Barcellona, le minacce di uno strozzino di quartiere e un losco traffico di falsi d’autore, Agata dovrà per una volta dar ragione al suo psicologo e lasciarsi risucchiare dal vortice impazzito degli eventi. E delle emozioni. Perché sarà proprio questa la partita più dura.
Agata non ha avuto un’infanzia facile. Sua madre, o meglio Rosa, che non vuole essere chiamata “mamma” perché se no perderebbe la sua identità, con il suo stile di vita sopra le righe, controcorrente – ma indubbiamente pieno di amore – l’ha privata di una televisione, del vero significato del suo nome, e soprattutto di una figura paterna.
“Dovevo farti leggere Cime tempestose e Orgoglio e pregiudizio, ma ero terrorizzata venissi su come Catherine o peggio come Elizabeth Bennet”.
“E cioè?”.
“Una cretina in cerca di marito”.
Da adolescente, Agata ha iniziato a darsi da sola quelle regole che Rosa non le aveva mai imposto e, piano piano, sono diventate troppe. Così tante da soffocarla, da renderla incapace di affrontare ogni giorno con un po’ di leggerezza, di aprirsi al mondo, alle esperienze, belle o brutte che siano. Agata quindi, a 35 anni, non solo un’ora sì e l’altra pure pensa che stia per morire, ma si preclude qualsiasi sentimento per paura di soffrire. E parlarne con lo psicologo non la aiuta un granché…
“Tu non hai problemi di fiducia?”.
“No, ho un sacco di malattie, ma nessun problema di fiducia! L’hanno pulita l’insalata, secondo te?”.
“L’insalata? Immagino di sì, che ne so?”.
“Scusi?”, chiamai il cameriere e quello si avvicinò subito. “Avete lavato l’insalata?”.
“In che senso?”.
“Nel senso se è stata pulita, sciacquata prima di essere messa nel piatto e condita. Sento uno strano formicolio alla testa”.
“Ora le passa”, disse Martina al cameriere alzando gli occhi al cielo. “È ipocondriaca”.
Il cameriere si allontanò stranito.
“Non sono ipocondriaca, dico solo che quest’insalata ha qualcosa che non va”.
“Va bene, ci stanno avvelenando, ce ne faremo una ragione”, rispose Martina con un tono di condiscendenza.
“Non è un bel modo di morire”.
“E tu non avresti problemi di fiducia? Lo psicologo che dice?”.
“E chi lo capisce?”.
Un giorno però cambia tutto. Doveva fare un semplice sopralluogo, però pioveva, le si rompe il tacco, i capelli le scappano dal controllo e soprattutto qualcuno l’aggredisce. O meglio, la zittisce circondandola con forti braccia. Quando Agata cerca di liberarsi – cercando di ricordare i consigli di Olsi, il suo insegnante di krav maga, di origine russa che “a ogni lezione sembrava appena rientrato da una missione in Cecenia” – finisce per rimanere incantata da due occhi azzurri che la scrutano fin dentro l’anima.
Da qual momento, per Agata sarà una folle corsa, buche e scaffe comprese, per provare a scardinare tutte le sue paure, i suoi complessi e ricominciare a vivere. O forse, farlo per la prima volta.
“Mi sento come se mi mancasse la terra sotto i piedi, preferirei essere malata. Insomma, una malattia si può curare, questa cosa che sento nel petto invece è terribile”.
“Quella cosa che hai nel petto è la vita”.
Di Fabrizio Calcaterra, che assomiglia in modo vergognoso a Christian Bale, si fiderà immediatamente, senza nemmeno capire il perché. Ad aver perfettamente chiara la situazione è il suo cuore, stanco di essere circondato da mura e con la voglia di tornare a battere all’impazzata.
Compresi finalmente quello che aveva cercato di dirmi in tutti quegli anni il mio psicologo riguardo alla paura, la paura di quello che viene dopo se si decide di rischiare. Perché si può stare davvero molto male ed è la paura di stare male che ci trattiene e ci fa restare immobili.
Per Agata e Fabrizio inizierà un’avventura emozionante: entrambi faranno i conti con il loro passato per riappropriarsi del futuro, imperaranno a volersi bene senza giudicarsi e troveranno le risposte a quelle domande che li avevano incatenati. Perché, come ci ricorda Agata, “si incontrano milioni di persone e non succede niente. Poi nei incontri una e la tua vita cambia per sempre”.
E che cambiamento! Il tutto condito da una serie di personaggi comici al limite del surreale, veri, divertenti, folli e irresistibili. Il mio preferito? Guglielmo, senza alcun dubbio.
Insomma, “Volevo solo andare a letto presto” mi ha creato una sorta di dipendenza: dovevo finirlo, volevo finirlo al più presto. Ora però Agata un po’ mi manca…