“Magari domani resto” di Lorenzo Marone: l’importante è stare “sempre apparecchiata”
“Magari domani resto” di Lorenzo Marone (Feltrinelli) è un libro impegnativo. Mi spiego meglio.
Non si può leggere senza avere una matita in mano, e si sa che le matite quando servono non hanno mai la punta; o magari sono necessari dei pezzettini di carta per segnare alcune pagine. Oppure può capitare che sei già sotto il piumone quando un passaggio ti costringe ad alzarti, inciampare nelle pantofole, cercare a tentoni l’agenda dentro la borsa perché c’è una frase che va appuntata immediatamente (ogni riferimento a persone o fatti…). E quando torni a letto, ti chiedi: come ha fatto Lorenzo Marone a sapere che mi sono sentita così durante l’adolescenza? Come è riuscito a cogliere quella sfumatura del rapporto madre/figlia dopo l’ennesima discussione? Come possono due parole che sembrano non avere nessun senso, “bassotta incazzata”, assumere un significato più grande di quanto si voglia ammettere?
TRAMA – Chiamarsi Luce non è affatto semplice, specie se di carattere non sei sempre solare. Peggio ancora se di cognome fai Di Notte, uno dei tanti scherzi di quello scombinato di tuo padre, scappato di casa senza un perché. Se poi abiti a Napoli nei Quartieri Spagnoli e ogni giorno andare al lavoro in Vespa è un terno al lotto, se sei un avvocato con laurea a pieni voti ma in ufficio ti affidano solo scartoffie e se hai un rottame di famiglia, ci sta che ogni tanto ti arraggi un po’. Capelli corti alla maschiaccio, jeans e anfibi, Luce è una giovane onesta e combattiva, rimasta bloccata in una realtà composta da una madre bigotta e infelice, da un fratello fuggito al Nord, da un amore per un bastardo Peter Pan e da un lavoro insoddisfacente. Come conforto, solo le passeggiate con Alleria, il suo Cane Superiore, unico vero confidente, e le chiacchiere con l’anziano vicino don Vittorio, un musicista filosofo in sedia a rotelle. Finché, un giorno, a Luce viene assegnata una causa per l’affidamento di un minore. All’improvviso, nella sua vita entrano un bambino saggio e molto speciale, un artista di strada giramondo e una rondine che non ha nessuna intenzione di migrare. La causa di affidamento nasconde molte ombre, ma è forse l’occasione per sciogliere nodi del passato e mettere ordine nella capatosta di Luce. Risolvendo un dubbio: andarsene, come hanno fatto il padre, il fratello e chiunque abbia seguito l’impulso di prendere il volo, o magari restare, trovando la felicità nel suo piccolo pezzettino di mondo?
Chi è Luce? “Una specie di femmina di bassotto incazzata che proprio non riesce ad accettare che qualcuno le pesti i piedi e che il più forte vinca sempre sul più debole”.
Avvocato, cresciuta dalla mamma e dalla nonna Giuseppina, una figlia ‘ntrocchia di prima categoria che tiene ‘a freva, che non mi sopporterebbe perché mi capita spesso di dire “soldini” quando devo parlare di denaro, anche se in più di un’occasione, come ha fatto lei, sono andata dal parrucchiere e mi sono rasata a zero. Un padre “durato un battito d’ali”, scomparso per non guardare in faccia la verità, una figura ingombrante e allo stesso tempo invisibile, alla “quale attribuire le colpe di ogni sbaglio o fallimento”, che l’ha lasciata con l’idea di doversi meritare l’amore e la felicità ogni santo giorno; un vicino di casa adorabile, un po’ musicista e un po’ filosofo, e un capo viscido e senza rossore.
“Ma tu sei davvero così o ci fai?”.
“Che vuoi dire?”.
“Cioè, davvero sei sempre incazzata e non sopporti nessuno? Oppure ti diverti a farlo credere?”.
“Non sto sempre incazzata”, ribatto di getto.
“Be’, nemmeno allegra però…”.
Descrivervi Luce non è facile, sarà lei a mostrarvi di che pasta è fatta, alternando il presente con aneddoti della sua infanzia, perdendosi in “ragionamenti strani” quando le “parte la capa”, il tutto condito da una variegata schiera di personaggi uno più caratteristico dell’altro. Sullo sfondo c’è Napoli, con tutte le sue contraddizioni. Essendo palermitana, so bene cosa significa vivere in una città complicata, buona solo per confermare pregiudizi, quasi stufa della sua bellezza che ostenta ma che non condivide, capace di inghiottirti se non stai attenta a dove metti i piedi e dove bisogna guardarsi le spalle mentre si accoglie qualcuno. Se in Sicilia si (stra)parla di mafia, a Napoli la parola camorra non si usa.
Qui la camorra puoi anche far finta di non vederla, se ti riesce: lei ti cammina accanto, ti sfiora come una leggera brezza primaverile e ti sconcica un po’ i capelli. Distrattamente allunghi una mano e torni alla tua vita. Perché tanto che puoi fare, prendertela con il vento?
Per trent’anni Luce è riuscita “a stare fuori dallo schifo pur vivendoci dentro”, ma a un certo punto si è “impelagata in una storia” più grande di lei, “con un piede da una parte parte e uno dall’altra”. Il suo capo, Arminio Geronimo, le ha affidato un caso che si rivelerà più complicato del previsto e che avrà un epilogo davvero inaspettato.
Sarà un bambino, Kevin, a farla sentire “davvero femmina, davvero realizzata”, facendo tornare a galla, prepotentemente, emozioni che Luce provava a tenere a bada, riempiendole la vita di presente e facendo, alla fine, il brindisi più commovente che abbia mai sentito (sì sentito, non letto, avevo la vista annebbiata).
Sarà un francese, scappato dalla vita che aveva a Marsiglia per fare l’artista di strada, a farle mancare un battito e a farle tirare le somme, chiedendosi se andare o restare. Una domanda che è LA domanda: “Io non so cosa sia meglio per me, e solo per me, di certo non credo che chi resti, chi tenti di aggiustare le cose, chi si fa il mazzo tutti i giorni per cambiare il proprio piccolo pezzettino di mondo sia meno coraggioso di chi manda tutto all’aria!”, gli dice Luce, rimproverandogli la sua sicurezza.
E sarà Arturo, il figlio appena nato di suo fratello Antonio, a farle “franare d’improvviso la terra sotto i piedi”, facendole pensare che “un figlio, diamine, io lo voglio, anche se quelli degli altri non li sopporto”. Tutto questo la porterà a riflettere sul concetto di “famiglia”, sul rapporto con la madre, sull’importanza di un momento speciale o di una persona speciale, a soffermarsi su quelle piccole cose che fin troppo spesso diamo per scontate.
Luca sarà pure scontrosa (“Non è colpa di nessuno, per questo me la prendo con tutti”), una che non le manda a dire (“Sei una favola letta male”), ma di certo ama la vita e ci invita a fare lo stesso.
Qualche volta capita che rientri in casa con uno sbadiglio, ti lavi odiando la tua immagine riflessa nello specchio, ti spogli imprecando sottovoce per l’ennesima giornata sprecata e poi, proprio quando sei lì, pronta ad accusare la tua vita, fosse anche solo per un istante, succede qualcosa di inaspettato, una bolla di bellezza che scoppia a un metro da te e ti irradia il viso, e ti porta a credere ancora per un altro po’, fino al prossimo sbadiglio, che non basteranno tutte le rotture di cazzo, i dolori e le ingiustizie del mondo per farti smettere di amare la tua piccola e a volte noiosa esistenza.
Mai.
Perché, in fondo, le cose belle arrivano all’improvviso. L’importante è, come dice Luce, stare sempre sul chi va là, “sempre apparecchiata”.
anche a me questo libro è piaciuto molto: è il primo di Lorenzo MArone che leggo e credo che leggerò anche gli altri 🙂
Grande delusione, non sembra scritto dallo stesso autore di “La tentazione di essere felici “.stereotipi a iosa, che noia!